L’infertilità maschile potrebbe dipendere dall’assenza di un gene. A rivelarlo è stata una ricerca condotta su topi dall’Università di Göteborg, i cui risultati potrebbero aprire la strada a nuovi trattamenti per la salute riproduttiva dell’uomo
L’infertilità maschile potrebbe dipendere dall’assenza di un gene e della proteina che codifica. A rivelarlo è stata una ricerca condotta su topi dall’Università di Göteborg, i cui risultati potrebbero aprire la strada a nuovi trattamenti per la salute riproduttiva dell’uomo. Nello studio, i topi privati di uno specifico gene, che codifica per la proteina MC2, non sono stati in grado di generare prole, in quanto il loro sperma mancava del collegamento tra la coda e la testa. “Si tratta di un passo in avanti molto importante”, commenta a Sanità Informazione la genetista Marina Baldi, membro della commissione Fertilità della Società italiana di andrologia (Sia). “Grazie all’utilizzo di tecniche di biologia molecolare e dell’intelligenza artificiale possiamo verificare il ruolo di specifiche proteine e questo ci permette di comprendere meglio le cause dell’infertilità maschile”, aggiunge.
I ricercatori hanno dunque dimostrato che MC2 svolge un ruolo cruciale nella formazione degli spermatozoi “nuotatori nei topi“. Questa proteina è necessaria per creare un collegamento funzionale tra la testa e la coda dello sperma. “La connessione si trova nel ‘collo’ della testa dello spermatozoo e facilita il movimento e la funzione coordinata mentre lo spermatozoo nuota verso l’ovulo”, spiega Kexin Zhang, ricercatrice presso il Dipartimento di Chimica e Biologia Molecolare dell’Università di Göteborg. “Certo – continua – la coda e la testa si creano perfettamente senza questo collegamento, ma senza alcun risultato, perché non riescono a raggiungere il loro obiettivo”.
“La proteina individuata dai ricercatori sembra avere un ruolo chiave nella motilità degli spermatozoi che sappiamo essere uno dei parametri seminali cardine nella fertilità maschile”, commenta a Sanità Informazione Ilaria Ortensi, specialista in fertilità e membro del comitato direttivo della Sia. “Possiamo sperare che in futuro effettuare test su proteine specifiche ci permettano di poter fare diagnosi sempre più accurate”, aggiunge. Gli esperimenti su topi hanno indicato che la produzione della proteina “MC2” era controllata da un gene specifico nel genoma. Quando il gene è stato rimosso con le “forbici genetiche”, i ricercatori hanno osservato che gli esemplari murini hanno smesso di produrre la proteina, divenendo completamente sterili.
È già noto che i fattori genetici sono responsabili di circa il 15-30% dell’infertilità negli uomini. Il gene non si trova sul cromosoma sessuale e non ha avuto alcun impatto sulla capacità delle femmine di produrre prole. “La mia ricerca ha contribuito a migliorare la comprensione delle cause dell’infertilità dovuta all’assenza della testa dello spermatozoo, nota come sindrome degli spermatozoi acefali”, sottolinea Zhang. “La causa alla base di questa diagnosi era finora sconosciuta”, aggiunge. La scoperta della proteina “MC2” fornisce nuove conoscenze sulla struttura molecolare delle cellule spermatiche che, poi, si sviluppano in spermatozoi. Ora i ricercatori potranno approfondire ulteriormente queste conoscenze. “Si stima che circa il 15% di tutte le coppie eterosessuali abbia problemi ad avere figli”, ha dichiarato Zhang. “L’uomo è responsabile dei problemi in circa la metà di questi casi. Spero che la nostra ricerca porti a nuovi metodi diagnostici e a nuovi trattamenti per l’infertilità maschile. Potrebbe anche essere possibile – conclude – creare un contraccettivo maschile disattivando questo gene”.
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