Pagliariccio (psicologo): «Generalmente, chi riceve più attenzioni e sostegno matura un carattere più forte e sicuro. A livello internazionale si consiglia di bilanciare un eventuale atteggiamento di preferenza con poche regole chiare e democratiche»
“Lei è la bella di papà, lui il cocco di mamma”. Quante volte avrete sentito questa frase, pronunciata con sguardo fiero e volto segnato dal sorriso? Ma attenzione: seppur dette con leggerezza, in alcuni casi, queste parole potrebbero celare un favoritismo, un cosiddetto Parental Differential Treatment (PDT), ovvero un “Trattamento differenziale del genitore” rispetto alla prole.
Il PDT è un fenomeno molto studiato oltreoceano, più trascurato dai ricercatori italiani. «All’argomento sono stati dedicati numerosi studi, tutti di livello internazionale – spiega Cristian Pagliariccio, psicologo, esperto di problematiche dell’adolescenza per l’Ordine degli Psicologi del Lazio -. Spesso, questo favoritismo può derivare da un’identificazione positiva: la madre o il padre possono riconoscere caratteristiche positive di sé in uno dei propri figli e, per questo, renderlo il prediletto. Al contrario, bambini alla costante ricerca di attenzioni potrebbero generare un senso di stanchezza nei genitori che, proprio in virtù di questo affaticamento percepito, potrebbero essere indotti a ritenere preferito il figlio “meno impegnativo”».
In altri casi, possono essere le difficoltà della vita a porre le basi di un trattamento differenziale: «Un figlio gravemente malato o disabile può richiedere una cura totalizzante, rendendo quasi invisibili gli altri componenti della famiglia. Viceversa – aggiunge Pagliariccio – è possibile che un genitore riversi tutte le sue aspettative sul figlio sano, ponendolo al centro dell’attenzione. Ovviamente, una situazione familiare evidentemente problematica può essere più facile da accettare dai fratelli meno attenzionati, poiché possono più facilmente comprendere che se i propri genitori dedicano più tempo ad un figlio malato lo fanno per necessità».
Non tutti i genitori sono capaci di ammettere, o ancor prima di rendersene conto, di avere un figlio prediletto. Per questo, la maggior parte degli studi condotti finora ha focalizzato l’attenzione sulle conseguenze che il trattamento differenziale può avere sui figli, che siano i preferiti oppure gli “emarginati”. «Generalmente, chi riceve più attenzioni e sostegno – spiega lo psicologo – matura un carattere più forte e una personalità più sicura di sé. Il sentirsi amato aiuta a percepirsi una persona migliore, rispetto a chi cresce sentendosi costantemente discriminato dai propri genitori».
Non è solo il rapporto genitore-figlio ad essere compromesso, ma anche quello tra fratelli. «Di solito figlio prediletto e figlio trascurato non instaurano un buon rapporto, tanto che da adulti – commenta lo specialista – tenderanno ad allontanarsi o a mantenere una relazione conflittuale».
«Ma non tutte le situazioni sono uguali e, soprattutto – evidenzia Pagliariccio – non tutte le persone reagiscono allo stesso modo alle medesime condizioni. Assecondare le diversità e le aspirazioni dei propri figli è un diritto sancito dalla Costituzione italiana. Questo significa che alcune disparità di trattamento sono necessarie e funzionali al naturale sviluppo dell’individuo. Assicurare l’istruzione universitaria ad un figlio non significherà doverla garantire agli altri figli, se questi mostreranno di avere altre aspirazioni per il proprio futuro. Così come sarà normale concedere maggiore libertà al figlio maggiore. Ma queste disparità, seppur naturali, potrebbero comunque influire negativamente sulla crescita individuale della prole. Per questo, è sempre necessario instaurare un dialogo con i propri figli, così da spiegare le motivazioni di una predilezione che, in realtà, potrebbe essere solo apparente».
Per evitare, o almeno limitare, gli effetti collaterali del PDT è necessario che i genitori siano consapevoli di avere un atteggiamento di predilezione nei confronti di uno dei figli. «A livello internazionale – dice Pagliariccio – si consiglia di bilanciare un eventuale atteggiamento di preferenza, dopo averlo individuato, attraverso 4-5 regole chiare da decidere in modo democratico a famiglia riunita, dai più grandi ai più piccoli. Regole mirate all’aiuto reciproco ed al rispetto dell’individualità di ognuno. Attenzione a non dimenticare che anche i genitori hanno i propri bisogni e che, quindi, queste regole dovranno tener conto pure delle loro esigenze, compreso – conclude lo psicologo – il diritto al relax».
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