Oltre le 500mila vaccinazioni al giorno, l’Italia di Figliuolo accelera. Ma ci sono dei nodi da sciogliere sulle seconde dosi di AstraZeneca e Pfizer, e sulle eventuali “terze”. Li analizziamo con l’ex direttore esecutivo dell’Ema Guido Rasi
In queste settimane il generale Figliuolo, Commissario straordinario per l’emergenza Covid, ha dovuto affrontare una importante revisione della sua campagna vaccinale. Ormai le 500mila vaccinazioni giornaliere sembrano essere un obiettivo raggiunto, anche grazie all’accensione del motore lombardo. Anzi, da due giorni è stato addirittura superato.
Figliuolo si dice ora persuaso che entro fine maggio le persone fragili e quelle anagraficamente più a rischio di una forma grave di Covid-19 saranno messe al sicuro dalla vaccinazione. Si aprirà finalmente il turno dei giovani e dei lavoratori anche se a ritmi diversi a seconda della Regione. In estate potrebbe toccare ai ragazzi, ma è presto per fare previsioni azzardate.
Il presidente del Consiglio Mario Draghi, poi, ha specificato che nei mesi che verranno vorrà vedere turisti in Italia. Con il Green Pass (ottenuto con doppia dose di vaccino, tampone in 48 ore o guarigione certificata da Covid) si potrà prenotare una struttura e tirare un sospiro dopo il secondo anno di pandemia. Sullo sfondo restano però dei problemi che rischiano di diventare molto caldi.
Le dosi in prima istanza. Arrivano, ma non bastano mai. Servono nuovi vaccini affidabili da destinare alle persone più giovani e sane. All’esame dell’Agenzia europea del Farmaco ci sono due nuovi prodotti. Quello di Curevac, un vaccino mRna di provenienza tedesca che mostra come vantaggio una più facile conservazione rispetto ai “colleghi” americani. Vero Cell, il vaccino di Sinovac, che viene da virus inattivato aiutato con un adiuvante per la risposta immunitaria. Si aspetta inoltre il prodotto Novavax, molto innovativo e interessante per gli esperti del settore in quanto “proteico”, che usa l’Rna per sintetizzare proteine che sviluppano la risposta anticorpale.
Per AstraZeneca e Johnson&Johnson, i vaccini a vettore virale connessi a rarissime forme di trombosi, il limite resta over 60. Figliuolo, dietro consiglio degli esperti, sta ragionando sull’abbassare l’età di somministrazione consigliata, ma è consapevole che un nuovo passo indietro non gioverebbe all’immagine già compromessa del vaccino inglese.
Poi bisogna pensare alle seconde dosi. Quelle di AstraZeneca sono lontanissime, ma sono comunque arrivate. Al momento di tornare alla somministrazione in molti sono dubbiosi. Il Comitato tecnico-scientifico, invitato da Figliuolo, ha assicurato che chi non ha avuto problemi con la prima dose può procedere senza pensieri a fare la seconda. Ovviamente ci si è subito chiesti: avere la febbre alta per quattro giorni è considerato “avere problemi”?
Con il prof. Guido Rasi, ex direttore esecutivo Ema e direttore scientifico di Consulcesi Club, Sanità Informazione vuole provare a chiarire questi dubbi. «Una febbre molto alta rientra – spiega l’esperto – nei normali effetti collaterali e non c’è nessun problema in quel caso nel fare la seconda dose di AstraZeneca. Penso che quei 20-30 casi di trombosi possibilmente associate al vaccino che si sono verificate in tutta Italia saranno considerate singolarmente. È quasi ormai accertato – aggiunge – che chi ha quel tipo di problema abbia una base genetica e personale, quindi chi ha fatto la prima dose senza particolari problemi verosimilmente non ne avrà per la seconda».
E restando sulle seconde dosi, per i vaccini Pfizer e Moderna si ha invece il problema opposto. Le seconde dosi sono troppo vicine e, per rispettare i tempi, si allungano quelli delle persone da vaccinare. Figliuolo e il Cts hanno perciò annunciato che nella seconda fase della campagna di massa si ritarderanno le seconde inoculazioni dei vaccini ad mRna fino a 42 giorni dopo. Il generale pensa allo sprint che questo darà alla campagna, ma il polverone di chi sperava di avere per inizio estate il Green Pass in tasca si è già sollevato.
Invece, il prof. Rasi ci spiega che si tratta di un’ottima strategia. «Si fa perché si è visto che la prima dosa dà una protezione che può già evitare ospedale e malattia grave, il ritardo fino a 42 giorni sicuramente consentirà di velocizzare questa fase e non perdere nessun risultato utile». Una rassicurazione anche per i turisti in attesa: «Non credo sia una regola ferrea, credo sia “fino a 42 giorni”, ogni Regione procederà secondo i propri canoni organizzativi. Se hanno già previsto la seconda dose ovviamente diventa più complicato ridefinirla, quindi chi ha già una data dovrebbe rispettarla. Tutto è finalizzato a un’estate più protetta».
La protezione, anche parziale di un numero sempre maggiore di persone, è l’unico mezzo che abbiamo per contrastare le varianti. La doppia V, di varianti e vaccini, deve essere ora al centro anche della formazione dei medici. Su questo il prof. Rasi si è messo d’impegno, tenendo uno dei corsi di formazione, intitolato proprio “Varianti e vaccini”, per il provider Ecm di Consulcesi Club Sanità in-Formazione. «Proprio perché è un tema in evoluzione costante è importantissimo aggiornarsi, le varianti saranno la determinante che deciderà se questa campagna vaccinale è risolutiva o se dovremo avere dei correttivi o dei problemi aggiuntivi. Questo corso copre questa necessità», spiega.
Problemi aggiuntivi tra i quali si configura l’eventualità che anche dopo due dosi di vaccino non si mostri di avere anticorpi. Come si procederà con queste persone? Una terza dose è ancora un’ipotesi solo chiacchierata tra gli esperti. La stessa a cui forse gli operatori sanitari dovranno sottoporsi dopo l’estate.
«Per chi non ha avuto anticorpi – dice Rasi – c’è bisogno di fare un ragionamento più complesso: bisogna capire se si tratta di un solo tipo di vaccino che non li produce, per esempio. Gli anticorpi neutralizzanti poi, non sono tutto della risposta immunitaria di una persona. Probabilmente è una cosa che capiremo nei prossimi mesi. Sarà importante vedere se i vaccinati si reinfettano, tra loro fare la sequenza del virus che li ha infettati e decidere qual è il loro stato immunitario. È semplicistico pensare solo a una terza dose, senza avere dati per farlo».
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