Salute 25 Marzo 2022 14:43

Serve un sistema sanitario europeo, perché non se ne parla? La riflessione di Agnoletto

La situazione sanitaria ucraina non è un “problema a sé”, finché non ragioneremo in larga scala sulla salute non potremo intervenire con efficacia. L’idea di un sistema sanitario europeo e perché non dovrebbe essere un’utopia, con Vittorio Agnoletto

Serve un sistema sanitario europeo, perché non se ne parla? La riflessione di Agnoletto

A un mese dall’inizio del conflitto tra Russia e Ucraina, iniziato durante il terzo anno di una pandemia mondiale, bisogna riconoscere che l’assistenza sanitaria a rifugiati e persone in difficoltà è presidiata quasi esclusivamente dalle associazioni e dai volontari. Nonostante i rischi che il Covid porta con sé e l’impossibilità palese di risolvere la pandemia in scala inferiore a quella globale, questa guerra ci ha colti ancora una volta impreparati.

Con il dottor Vittorio Agnoletto, medico e coordinatore della Campagna Europea Right2cure No Profit on Pandemic, Sanità Informazione ha fatto una riflessione su quello che l’Europa ancora dovrebbe imparare sulla gestione globale delle emergenze. Cosa sappiamo (e sapevamo) per ora? Innanzitutto che l’Ucraina è un paese particolare dal punto di vista sanitario. Il dottore ci tiene a ricordarci che pensando a questo stato non si deve ridurre tutto a Kiev, ai suoi ospedali all’avanguardia e alla vita “europea” che i cittadini conducono. Le larghissime parti di territorio agricolo, specie quelle del Donbass, vivono in condizioni di difficoltà molto evidente trascinata da otto lunghi anni di conflitto.

Ucraina e Donbass, le condizioni sanitarie che abbiamo ignorato

«Stiamo parlando di una nazione che aveva già grossi problemi in ambito sanitario prima di questa guerra: una forte epidemia di morbillo, una di polio, HIV, focolai di colera a causa dell’acqua nel 2011. Ben diversa da quelli che noi concepiamo come parametri europei – spiega Agnoletto – . L’Ucraina è al 74esimo posto per indice di sviluppo umano, che si fonda sull’aspettativa di vita. Il conflitto si è inserito su un paese che nelle condizioni sanitarie era molto debole e ancora di più nella parte est in cui c’era una guerra in atto da 8 anni».

Lo spiega bene un report di Save the children, «completamente ignorato», che traccia le condizioni del Donbass molto chiaramente. Prima di tutto si esplicitano i gravi danni alle principali infrastrutture idriche e di purificazione. L’acqua non pulita ha portato a un aumento di bambini con problemi di stomaco e infezioni. Il 38% delle famiglie dichiara di non aver accesso all’assistenza sanitaria, ribadendo inoltre che gli ospedali sono sempre le zone più facili per i bombardamenti.

La fuga degli operatori sanitari e il disagio psicologico

Dal 2014, secondo il report, 1.500 operatori sanitari hanno lasciato l’area colpita dal conflitto, contribuendo alla mancanza di personale. C’è una fornitura irregolare di medicinali e attrezzature. Diversi gruppi di ragazze adolescenti hanno parlato di come le persone spesso aspettano molto tempo per una risposta dal servizio medico di emergenza e come alcune persone muoiono di conseguenza. I caregiver hanno parlato delle sfide del viaggio un’altra città per l’assistenza medica.

«Le condizioni difficili si ampliano poi dal punto di vista psicologico, dell’aumento dei tentativi di suicidio che sono strettamente connessi alla qualità di vita per i giovani e alle speranze per il futuro. Non dobbiamo dimenticare che la guerra del 2022 si introduce in questo contesto, che esisteva già da anni in quelle zone dell’Ucraina», spiega Agnoletto.

Covid, cosa si può fare per arginare i danni?

Non c’è da stupirsi dunque se solo il 35% della popolazione ucraina, in questo scenario, risulta aver completato il percorso di vaccinazione anti-Covid. «Con tutti i profughi le difficoltà diventano comuni – prosegue -. Penso che sia importante che da noi sia stata data la possibilità di tamponi e vaccinazioni contro Covid a tutti i rifugiati. Una cosa che è bene dire è che al termine del conflitto, o comunque in una condizione di sospensione, gli aspetti sanitari devono rientrare negli accordi perché i disastri che la guerra provoca sulla salute vanno poi avanti per decenni. I piani di vaccinazione e interventi nei disagi psichici e l’assistenza di minori e cronici dovrebbero essere affrontati come si può in questo momento e devono far parte di qualunque piano di ricostruzione, ma anche di semplice tregua».

Il grande lavoro dei volontari

Un esempio positivo secondo Agnoletto è la rete oncologica pediatrica, che ha visto il trasferimento di tanti piccoli pazienti ucraini negli ospedali italiani e non ha mai sospeso le comunicazioni. «La popolazione dei paesi europei si sta mobilitando molto fortemente per raccolta di aiuti e accoglienza – aggiunge Agnoletto – questo avviene nei paesi confinanti (Romania, Polonia) e crea uno stacco culturale con le azioni che i governi di quei paesi hanno finora sviluppato nei confronti dei migranti. Perché quelli che vanno ad assistere gli ucraini sono le stesse persone che andavano a soccorrere chi fuggiva dalle guerre in Oriente, accendevano candele per indicare le case in cui i rifugiati potevano andare a chiedere asilo contrariamente a quanto vietato dal governo».

Una coordinazione “ufficiale”

Una coordinazione di base più “ufficiale”, tuttavia, permetterebbe di organizzare meglio le distribuzioni di abiti e farmaci. Di raccogliere i dati sanitari dei rifugiati e organizzare più facilmente gli aiuti, senza fare discriminazioni come quelle che stanno accadendo in questo momento. «Questi aspetti sanitari che cosa ci dicono? – si chiede Agnoletto – Che il mondo è uno solo. Il fatto che in Ucraina le vaccinazioni fossero al 35%, che l’Ucraina fosse uno dei paesi all’interno di COVAX riguarda anche noi. Una guerra dove distanze, mascherine sono dimenticate immediatamente. Le temperature sono inoltre ancora molto fredde, il che favorisce ancora una risalita del virus. Si potrebbero temere anche nuove varianti: questo ci riguarda tutti».

«Un ennesimo segnale che ci dice – conclude – che se la cura delle persone non è diffusa in tutto il mondo prima o poi questo è un prezzo che pagheremo. Una situazione di guerra porta all’estremo questo tipo di situazione. Parliamo di un paese che ha colera, morbillo, poliomieliti, HIV. Mi domando se il mondo scientifico italiano ed europeo riuscirà a fare questo salto. A pensare che serve uno sforzo comune. Ecco perché dico che la ricerca scientifica in campo sanitario non andrebbe interrotta, costruisce ponti fondamentali».

Mai interrompere la ricerca

Finora è accaduto il contrario. Lo dimostrano la sperimentazione sullo Sputnik dello Spallanzani italiano, interrotta con l’inizio del conflitto. Oppure la scelta ucraina di non acquistare il vaccino russo nonostante i costi ridotti. «Interrompere queste ricerche come atto di dimostrazione politica a mio parere ha poco senso, perché se quella ricerca producesse risultati positivi e interessanti questo sarebbe un valore aggiunto per tutta l’umanità».

Cosa consiglia dunque il dottor Agnoletto? «L’ambito sanitario non è una materia di competenza europea e non c’è una discussione su un servizio sanitario europeo – è la risposta -. Perché? L’unica competenza che ha l’UE è sui farmaci e noi invece avremmo bisogno di un sistema sanitario europeo e di uno sguardo molto più globale. Quando faremo questo passo?».

 

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