Giannini (Sapienza): «L’isolamento da pandemia gioca un ruolo amplificatore»
Un fenomeno dai contorni sempre più inquietanti che, complice l’isolamento dovuto alla pandemia, si sta trasformando in un’emergenza nell’emergenza. Parliamo delle sfide estreme sul web, le cosiddette challenge che spopolano tra i giovanissimi, diffuse tramite social come Tik Tok. Nei giorni scorsi la tragica scomparsa a Palermo di una ragazzina di dieci anni durante una di queste “prove di coraggio”, mentre cercava di sfidare la morte con una cintura stretta intorno al collo. Emulazione, desiderio di essere accettati, incoscienza? Cercare di capire cosa si nasconde dietro tutto questo per cercare di prevenirlo è fondamentale.
Stando a quanto emerge dai dati di una survey dell’Associazione Nazionale Dipendenze tecnologiche, GAP e cyberbullismo, condotta in collaborazione con il portale Skuola.net e con VRAI (Visions, Robotics and Artificial Intelligence – Dipartimento di Ingegneria Informatica dell’Università Politecnica delle Marche) presentati durante la IV Giornata nazionale sulle dipendenze tecnologiche, GAP e cyberbullismo, su un campione di 3.115 studenti di età compresa tra gli 11 e i 19 anni, circa il 34% ha già partecipato a sfide online.
Perché? «Il tema della sfida riguarda da sempre il mondo dell’adolescenza e della preadolescenza – afferma la professoressa Anna Maria Giannini, ordinario di Psicologia Generale presso l’Università Sapienza di Roma, e responsabile dell’area di Psicologia dell’emergenza presso l’Ordine degli Psicologi di Roma – perché è una sorta di test d’identità, un’illusoria dimostrazione di coraggio che, sempre illusoriamente, li renderà attraenti e accettati. Se prima queste sfide avvenivano nei cortili, in strada, in luoghi di condivisione fisici, ora avvengono sui social».
«In un mondo – continua la professoressa – in cui la comunicazione avviene attraverso strumenti e modalità che rendono i contatti costanti e serrati, il fenomeno della “sfida”, con la possibilità di mostrarla a un numero di persone potenzialmente infinito, si amplifica in maniera esponenziale. Sicuramente – puntualizza – un certo ruolo lo ha svolto, ultimamente, anche la pandemia, perché i ragazzi sono ancora più esposti in rete, sia per la Didattica a Distanza sia perché nel tempo libero i giovanissimi, non potendo fare molto altro, lo passano sui social. In sintesi, una modalità tipica di questa fase dello sviluppo viene sollecitata maggiormente dalle attuali condizioni».
«Le istituzioni educative, come la famiglia e la scuola, svolgono un ruolo primario nella prevenzione di questi fenomeni – afferma Giannini -. A loro è infatti demandato il compito di far capire i rischi e i pericoli di queste pratiche attraverso degli interventi strategici. Attenzione però: spaventare i ragazzi o essere estremi è controproducente. Piuttosto metterli in guardia sul significato di quel gesto, far capire loro che non si tratta di coraggio perché coraggio è altro, ma soprattutto trasformare in disvalore quel che per l’adolescente è un valore. Anche la scuola deve avere un ruolo in questo – prosegue -. Quello che ad oggi manca all’istituzione scolastica è il tempo, e forse anche la volontà, per affrontare alcune materie come l’educazione civica e in generale per sensibilizzare gli alunni a questioni come il rispetto di genere e l’inclusione».
«Il post-Covid – ammette Giannini – ci coglierà in linea di massima impoveriti a livello di relazioni sociali, e questo sarà lampante soprattutto nel caso degli adolescenti. Questo potrebbe sfociare, in alcuni casi, in un aumento dell’aggressività, ansia, talvolta depressione. C’è grande preoccupazione sul futuro dei nostri ragazzi. Speriamo che a questa giusta preoccupazione seguiranno effettivamente degli interventi concreti. Per i ragazzi – conclude – non è in gioco la mera preparazione scolastica: a causa dell’isolamento rischia di mancare una preparazione alla vita».
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