La storia di Jemma Kennedy, malata da oltre due mesi di Covid-19: gli strascichi del virus e la condizione cronica di chi non torna a star bene
«Dimenticatevi la seconda ondata di Covid-19. Siamo noi che non riusciamo a guarire, la seconda ondata». Jemma Kennedy, giornalista e scrittrice, si sfoga sul Guardian richiamando l’attenzione e chiedendo più aiuto. C’è una fetta di malati a lungo termine di coronavirus che supera la malattia dopo molto tempo, di solito non si ammala gravemente ma il tampone continua a restare positivo per mesi. E il post malattia diventa un calvario. Li chiamano “long-haulers”, i “duri a guarire”. Persone per cui il virus si trasforma in un incubo di sintomi eterni, che a volte lasciano nel corpo condizioni croniche.
«Mi sono ammalata a metà marzo. La mia diagnosi rivelava una “forma debole” di Covid-19 – scrive – ma il mio corpo mi diceva diversamente». Jemma è stata positiva per oltre 2 mesi. «Per 6 settimane sembrava che ogni cellula del mio corpo fosse stata avvelenata, insieme a un costante dolore al petto e al fiato corto». A maggio sembrava fosse guarita, «solo per essere di nuovo colpita da una botta di fatica post-virale che mi sembrava forte quasi quanto il virus».
La scrittrice si descrive come una persona sana, che prima del virus si prendeva cura del suo corpo con attenzione. Buon cibo, esercizio e piacevoli nottate di sonno. Ora «il mio cuore di notte fa le piroette tra le mie costole. Dormire è difficilissimo e spesso devo farlo da seduta, per evitare il fortissimo dolore ai polmoni che mi dà la posizione supina». Mesi e mesi di gastroenterite le hanno lasciato una colite lieve ma costante, che la obbliga a un regime alimentare molto rigido. «Mi fa male la testa, mi prude la pelle, la stanchezza mi ricopre come una coperta pesantissima».
I medici non sanno come trattare questa forma di virus. Né cosa consigliare ai pazienti che si ritrovano a essere “malati a lungo termine”. Molti sono giovani e faticano ad accettare la potenziale cronicità degli strascichi di Covid-19. Kennedy parla anche dei terribili effetti psicologici di questa situazione. Depressione, ansia e senso di abbandono per avere un disturbo che nessuno sa ancora curare, in una forma che nessuno sa spiegare.
«La scorsa settimana – prosegue – mi sono arresa e sono stata a letto tutto il giorno. Mio marito, che ora deve vestirmi, lavarmi e in parte anche darmi da mangiare, mi ha guardata con una sofferenza rassegnata. “Non so come aiutarti”, ha detto». La scrittrice chiede aiuto per sé e per chiunque si trovi nella sua situazione, ma in condizioni economiche peggiori. I sintomi sono invalidanti e non permettono di lavorare come si poteva fare prima, per chi ha figli a carico si trasforma in una vera disabilità.
«Abbiamo bisogno di rassicurazioni e aiuto. Non possiamo essere lasciati ai settori volontari e di carità per condurre delle ricerche o avere supporto, come è successo con la sindrome da fatica cronica». Sopratutto, deve essere chiaro ai giovani che da questa forma loro non sono al sicuro. «La nostra storia post-Covid potrebbe non finire, ma mentre ci lecchiamo le ferite, serva almeno come un avvertimento per le persone sane che pensano che il peggio sia finito. Per alcuni potrebbe essere solo l’inizio.»
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