Sieropositivo che ha avuto rapporti non protetti con 200 persone è stato arrestato con l’accusa di lesioni gravissime dolose. Bernardo Carpiniello, Presidente della Società Italiana di Psichiatria: «Non mi stupirei se una valutazione clinica rivelasse l’assenza di un disturbo mentale. C’è una cultura anti-medica che si sta diffondendo sempre di più»
È sieropositivo all’Hiv da almeno nove anni, eppure avrebbe avuto rapporti sessuali non protetti con oltre duecento partner occasionali. Per questo Claudio Pinti, autotrasportatore di 36 anni di un piccolo centro dell’hinterland di Ancona, è stato arrestato dalla Squadra Mobile e dal Servizio Centrale Operativo (Sco) della Polizia con l’accusa di lesioni gravissime dolose. È stata la compagna ad averlo denunciato, dopo aver scoperto il contagio e a far scattare le indagini, anche in considerazione dei possibili pericoli per altre potenziali vittime del presunto “untore”, che gli inquirenti stanno ricercando per invitarle a sottoporsi agli accertamenti o alle cure del caso. Lo scorso agosto Pinti aveva perso l’ex compagna stroncata dall’Aids: se dovesse essere confermato che è stato lo stesso Pinti ad averla contagiata, si verificherà la circostanza che potrebbe portare anche a contestare l’ulteriore ipotesi di omicidio volontario.
L’untore rifiuta di riconoscere l’esistenza della patologia e di curarsi. Un comportamento alla base del quale «potrebbero esserci meccanismi di minimizzazione o di negazione della malattia – spiega a Sanità Informazione il Presidente della Società Italiana di Psichiatria Bernardo Carpiniello -. Sono meccanismi di difesa psicologica che poi si associano a razionalizzazioni di tipo pseudoscientifico che servono alla persona ad autoconvincersi che il problema non esiste. Sostanzialmente sono meccanismi che potrebbero scatenarsi in modo automatico, inconscio e inconsapevole di fronte alla paura e all’angoscia di avere una malattia grave».
«È chiaro che questa sia solo una possibile chiave di interpretazione di comportamenti di questo genere. Anche perché – precisa il Presidente – non risulta che questa persona sia affetta da problemi psichiatrici. Sicuramente una valutazione andrà fatta e bisognerà cercare di capire come mai questa persona sia arrivata a tanto, ma non mi stupirei se uscisse fuori che non c’è un vero e proprio disturbo mentale che possa giustificare questo comportamento, anche se è un meccanismo che può destare perplessità».
«Attenzione a non psichiatrizzare qualunque cosa che fugge da spiegazione facile – continua Carpiniello –, che non è necessariamente sinonimo di patologia mentale. Altrimenti finiamo col giustificare qualunque tipo di comportamento diverso da ciò che ci si aspetterebbe da una persona nelle medesime situazioni. Ecco perché noi della Società Italiana di Psichiatria siamo molto prudenti».
«D’altro canto teniamo presente – prosegue – che viviamo in un mondo che nega l’importanza delle vaccinazioni: c’è una cultura anti-medica che si sta diffondendo sempre di più. Siamo ovviamente ad un livello diverso, ma c’è un’ondata di atteggiamenti non razionali che colpisce vasti strati della popolazione».
«Infine sappiamo, anche per esperienza clinica diretta, che la maggior parte dei sieropositivi rispetta delle regole prudenziali e precauzionali per non propagare il contagio; ma la verità è che noi sappiamo poco di come realmente nella vita di ogni giorno le persone prendano le loro scelte quando sanno di essere sieropositivi. Non voglio dire che ci potrebbero essere molte altre persone che si comportano allo stesso modo, però non abbiamo dati per dire con sicurezza che quello dell’untore di Ancora sia un caso isolato», conclude.
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