«La riduzione degli interventi chirurgici in Italia è drammatica – spiega Francesco Basile, presidente della Società italiana di chirurgia -. Posti letto di chirurgia dimezzati, blocco dei ricoveri, infermieri e anestesisti trasferiti ai reparti Covid. Spesso non è possibile operare neanche i pazienti con tumore»
«Siamo consapevoli dell’urgenza di recuperare gli interventi chirurgici rimandati a causa della pandemia ed è per questo che un sottogruppo del Tavolo per la chirurgia generale, istituito su mio impulso lo scorso settembre, sta continuando a lavorare alla creazione di un percorso di ripresa e smaltimento delle liste di attesa». E’ così che il Sottosegretario alla Salute Pierpaolo Sileri prova a rassicurare i suoi colleghi chirurghi, preoccupati per il pesante accumulo di operazioni chirurgiche «saltate».
A causa della crescita vertiginosa dei contagi, e di conseguenza dei ricoveri per Covid-19 negli ospedali, le liste d’attesa per entrare in sala operatoria infatti continuano ad allungarsi inesorabilmente. Sfuma così l’obiettivo di sfoltire le prestazioni rimaste indietro annunciato negli scorsi mesi.
«La riduzione degli interventi chirurgici in Italia è drammatica», ammette Francesco Basile, presidente della Società italiana di chirurgia (Sic). «Posti letto di chirurgia dimezzati, blocco dei ricoveri in elezione, terapie intensive riconvertite per i pazienti Covid, infermieri e anestesisti delle sale operatorie trasferiti ai reparti Covid. In questo modo – riferisce Basile – l’attività chirurgica in tutta Italia è stata ridotta nella media del 50% con punte dell’80%, riservando ai soli pazienti oncologici e di urgenza gli interventi. Ma spesso non è possibile operare neanche i pazienti con tumore perché non si ha la disponibilità del posto di terapia intensiva nel postoperatorio». Sembra un terribile deja vu. «Ci avviamo verso la stessa situazione del 2020 – dice il presidente della Sic – che ha portato come conseguenza 400.000 interventi chirurgici rinviati, notevole aumento del numero dei pazienti in lista di attesa e, ciò che è più pesante, si è assistito all’aggravamento delle patologie tumorali che spesso sono giunte nei mesi successivi in ospedale ormai inoperabili».
Si unisce all’appello della Sic anche Francesco Cognetti, presidente della Federazione degli oncologi, cardiologi e ematologi (Foce). «Sono trascorsi due anni di pandemia senza individuare adeguate soluzioni per garantire l’assistenza ai pazienti più fragili come quelli oncologici, cardiologici e ematologici», dice. «Siamo molto preoccupati per il blocco, di fatto, dell’attività chirurgica programmata determinato dalla nuova ondata pandemica causata dalla variante Omicron. Questa paralisi – aggiunge – rischia di provocare gravi danni ai nostri pazienti, che sono circa 11 milioni in Italia. Ricordiamo infatti – prosegue – che il rinvio degli interventi chirurgici può favorire lo sviluppo di tumori in fasi più avanzate, con minori possibilità di guarigione. Serve un’urgente ridefinizione del Sistema sanitario nazionale, modernizzando e rafforzando gli ospedali, rifondando la medicina territoriale, con una netta separazione fra ospedali, ambiti di cura e assistenza per pazienti Covid e non Covid».
Si stima che nel 2020 siano stati oltre 1,3 milioni i ricoveri in meno rispetto al 2019 e che siano saltati anche quelli urgenti. I ricoveri di chirurgia oncologica hanno visto una contrazione vistosa ed una diminuzione di circa il 50-80% dell’attività elettiva, cioè programmata. Nel 2021 era stata recuperata una parte di queste attività. «Ma la situazione attuale segna una drammatica regressione», sottolinea Cognetti. «Anche in ambito cardiovascolare nel 2020 il calo dei ricoveri è stato di circa il 20% (per impianti di defibrillatori, pacemaker ed interventi cardiochirurgici rilevanti) e ancora maggiore per infarto del miocardio con aumento della mortalità», aggiunge. La Sic sta realizzando un’indagine per aggiornare questi dati, ma ad un’analisi preliminare sembra che la situazione non sia migliorata.
«Nel 2020 rispetto al 2019, sono stati eseguiti – riferisce Cognetti – circa 2 milioni e mezzo di screening in meno. La riduzione degli esami è stata pari al 45,5% per lo screening colorettale (-1.110.414 test) al 43,4% per quello cervicale (-669.742), al 37,6% per le mammografie (-751.879). Nel 2019 i posti letto di degenza ordinaria erano 314 per 100mila abitanti, rispetto a una media europea di 500, collocando il nostro Paese al 22esimo posto in Europa per questo parametro. Anche per i posti letto in terapia intensiva esisteva un gap molto evidente, con 9 posti letto ogni 100mila abitanti in Italia, rispetto, ad esempio ai 33 della Germania. Poco o nulla è cambiato in questi due anni. Per i chirurghi bisogna fare qualcosa e bisogna farla subito.
«Proporrò al Ministero della Salute, a nome di tutti i chirurghi italiani, delle varie realtà un’interlocuzione. L’obiettivo è trovare insieme una soluzione che ci consenta di dare risposta alla richiesta sempre più pressante di interventi chirurgici», annuncia Basile. Tra le proposte c’è la creazione di percorsi differenziati per i pazienti chirurgici no Covid, il ripristino del personale infermieristico e anestesiologico dei blocchi operatori e anche l’assunzione di chirurghi per aumentare il numero di prestazioni.
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