«Riconoscere le proprie difficoltà e darsi il giusto tempo per lavorarci sopra, imparando a gestirle, è la vera forza. La storia dello sport è piena di questi esempi, bisogna imparare a coglierne il valore costruttivo» spiega la dottoressa Luana Morgilli
Era attesa come regina indiscussa dell’evento sportivo più importante al mondo, le Olimpiadi di Tokyo 2020. Ma lei, Simone Biles, pluri-medagliata ginnasta americana si è ritirata da tutte le competizioni per tutelare il suo benessere mentale. Ha dichiarato di avere “demoni nella testa”, sentire “il peso del mondo sulle spalle” e di soffrire di “twisties”, improvvisi blocchi mentali che fanno perdere l’orientamento nell’esecuzione di esercizi aerei.
A soli 24 anni ha già ha conquistato oltre 30 medaglie tra Olimpiadi e mondiali. Di sicuro l’ansia da prestazione, la pressione e le enormi aspettative, non l’hanno aiutata a gestire i tormenti psicologici. Ieri, però, prima di rientrare in America la Biles ha deciso di disputare la gara alla trave, senza torsioni: una medaglia di bronzo, arrivata tra gli applausi, che sa di rivincita dopo giorni complicati. Un piccolo passo, per ritrovare “l’equilibrio”. «Non siamo solo atleti, ma esseri umani – ha detto -. Sono un po’ più nervosa, sento di non divertirmi più come prima. Nessuna medaglia al mondo conta più della mia salute». E su Parigi 2024: «Devo concentrami su me stessa, non è stato divertente allenarmi per 5 anni e poi non gareggiare. Non posso nascondere tutto come polvere sotto il tappeto. Devo capire dove si è interrotta la connessione tra corpo e mente».
E a partire dal caso Biles, abbiamo chiesto alla psicologa dello sport Luana Morgilli (Odp Lazio) quali sono le motivazioni che possono provocare un crollo psicologico nello sport professionistico. «Non conoscendo direttamente questa ginnasta, non possiamo sapere se con “demoni nella testa” si intenda esclusivamente il fenomeno dei “twisties”, oppure un insieme di difficoltà psicologiche che si sono acutizzate nel recente periodo. Con il termine “twisties” – precisa la dottoressa – ci si riferisce ad un fenomeno piuttosto diffuso negli sport tecnico-combinatori quali la ginnastica artistica. Si tratta di una sorta di disorientamento spaziale a carico del sistema propriocettivo, ovvero del sistema che permette la percezione di se stessi e il senso della posizione e del movimento del corpo e degli arti indipendentemente dalla vista. In uno sport in cui l’elevato numero di rotazioni priva l’atleta dei normali riferimenti spaziali, siano essi visivi o vestibolari, una difficoltà di questo genere può manifestarsi.
Talvolta – spiega – può essere collegato allo studio e all’inserimento nel programma di nuovi elementi tecnici, altre volte alla ripresa da un periodo di stop oppure in seguito ad un infortunio, o ancora può dipendere da un sovraccarico emotivo e mentale che va ad inficiare la sfera della concentrazione, che come è facile immaginare, risulta un’abilità particolarmente importante in sport di questo tipo».
Di salute mentale, nello sport, si è sempre parlato con fatica per non distruggere l’idea degli atleti perfetti e impeccabili. Crediamo che le persone di successo non abbiano insicurezze, nella loro vita fatta di agio e ricchezza appaiono forti e senza problemi. E anche loro sentono il peso di mostrarsi così, senza difetti, al pubblico.
Ma se da un lato aumentano le pressioni, gli impegni e le competizioni dall’altro i professionisti sono maggiormente disposti ad aprirsi. Simone Biles ha dimostrato che il suo benessere vale più di una medaglia d’oro.
La ginnasta, però, ha ricevuto non poche critiche: perdente, egoista, debole e immatura. «Ho visto associare il nome di Simone Biles al termine fragilità – ammette la psicologa – senza considerare la storia di questa atleta sia in termine di risultati finora ottenuti sia in termini di forza nel denunciare situazioni delicate e dolorose come quelle collegate alla denuncia di abusi sessuali da parte di un medico del suo staff tecnico, Larry Nassar. In passato – continua – abbiamo considerato forti ginnaste come come Kerri Strug o Elena Mukhina, che non hanno avuto la possibilità di fermarsi in tempo, con gli esiti tragici che purtroppo conosciamo. Penso che dovremmo imparare a cambiare il paradigma per poter arrivare ad affermare che riconoscere le proprie difficoltà e darsi il giusto tempo per lavorarci sopra, imparando a gestirle è forse la vera forza. Anche la nostra Federica Pellegrini ha trascorso dei periodi negativi rispetto alla propria salute mentale, ha dichiarato di soffrire di attacchi di panico e ansia da prestazione che tendevano a limitare le sue capacità tecniche e i suoi risultati agonistici, oltre che il suo stato di salute. Il lavoro che ha fatto con uno psicologo dello sport le ha permesso di superare le difficoltà e di tornare a gareggiare al pieno delle proprie capacità, e forse anche a conoscerle e ottimizzarle al meglio».
«Per quanto riguarda il mio lavoro – prosegue la dottoressa – mi è capitato di incontrare diverse atlete e diversi atleti “bloccati”, ovvero non in grado di esprimersi al meglio delle proprie capacità tecniche, fisiche e tattiche. Esistono diversi strumenti e tecniche che possono essere utilizzate per il potenziamento delle abilità mentali: da quelle di rilassamento e respirazione, agli esercizi sul self talk, sulla concentrazione, alla ricerca dello stato di attivazione ottimale, o ancora alla gestione delle emozioni e della gara, e tanto altro. Tuttavia, è importante sottolineare che si tratta di attività che vanno inserite all’interno di un percorso strutturato e personalizzato, basato su una presa di consapevolezza di sé stessi e delle proprie abilità che gli atleti costruiscono nel tempo grazie al lavoro con uno psicologo dello sport. Non esistono pillole – o tecniche – magiche da somministrare all’atleta in difficoltà per farlo riprendere in poco tempo, esistono esercizi che vanno contestualizzati, appresi e ripetuti. Anche per questo si parla di “allenamento mentale”: infatti, come per la preparazione fisica e tecnica, c’è bisogno di tempi e progressioni specifiche per ottenere e consolidare risultati positivi.
Prima di Simon Biles, anche Michael Phelps, Naomi Osaka e molti altri campioni hanno attraversato momenti difficili, a dimostrazione che gli atleti sono esseri umani con “invisibili” incertezze. La talentuosa ginnasta ha avuto coraggio, ha messo al primo posto la sua salute mentale alle aspettative del mondo intero. La sua storia può essere un monito alla normalizzazione di stress e ansia, problemi più diffusi di quanto si creda. «Gli atleti e le atlete non sono macchine – acconsente la psicologa -. I problemi legati alla sfera mentale sono comprensibili, e sono diffusi tanto tra gli atleti quanto nella popolazione generale. Sappiamo che la forza mentale può fare la differenza in gara tra due atleti con le stesse capacità tecniche, se un atleta è forte mentalmente farà prestazioni migliori mentre se vive una difficoltà negli aspetti mentali potrebbe non esprimersi al meglio. Ma questo non vuol dire che dobbiamo demonizzare gli aspetti mentali in quanto possibili fonti di defaillance, anzi abbiamo l’occasione di capire che dare attenzione alla parte mentale e psicologica ci permette di capire che si tratta di aspetti che si possono affrontare, gestire, allenare con il supporto di un professionista quale lo psicologo dello sport».
A primo impatto, rischiamo di vedere la Biles e la Osaka come atlete giunte ad punto di arrivo «mentre possiamo leggere la situazione in modo diverso – sottolinea la psicologa – si stanno dando la possibilità di un nuovo inizio. La Biles lo ha già dimostrato, adattando la sua routine in trave alle sue condizioni attuali ed è tornata sul podio.
O ancora, prima ho citato Federica Pellegrini che, dopo un periodo caratterizzato da attacchi di panico e risultati non soddisfacenti, ha effettuato un percorso con uno psicologo dello sport ed è tornata a gareggiare con tutte le sue risorse e potenzialità. La storia dello sport è piena di questi esempi, bisogna imparare a coglierne il valore costruttivo affinché ogni difficoltà possa essere letta come un’opportunità. Le difficoltà si possono superare solo quando ne prendiamo consapevolezza e decidiamo di lavorarci sopra».
La salute mentale non è mai stata paragonata alla salute fisica. Come focalizzare l’attenzione sull’importanza del benessere mentale e psicologico? «Il concetto di salute bio-psico-sociale dell’OMS risale ormai al secolo scorso – evidenzia la psicologa – così come parliamo ormai da anni di sviluppo psicomotorio e non solo motorio. Tuttavia, l’ambito della salute mentale e psicologica risulta ancora troppo spesso stigmatizzato, un qualcosa da nascondere. È importante fare prevenzione e informazione sugli aspetti mentali, in tutti i settori: da quello sportivo a quello scolastico e lavorativo e non solo. È importante ricordarsi che il benessere psicologico permette di incrementare il benessere globale dell’individuo, e quindi permette a ciascuno di esprimersi al meglio nelle proprie prestazioni e di tutelare anche la stessa salute fisica. Non si parla solo di lavorare sul disagio psichico, ma di allenare le abilità mentali che possano far esprimere al meglio l’atleta e di prevenire eventuali disagi, fornendo strumenti utile alla gestione di situazioni di sofferenza psicologica che i ritmi e lo stile di vita a cui sono sottoposti gli atleti professionisti possono comportare in termini di stress e malessere. L’importanza data agli aspetti mentali durante questi ultimi mesi di sport e in particolare durante questa Olimpiade – conclude la dottoressa Morgilli – ci permettono di sperare positivamente in un incremento della presenza di psicologi dello sport negli staff tecnici di società sportive e federazioni, con effetti a cascata tanto sul versante del benessere quanto su quello delle prestazioni.
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