Salute 15 Marzo 2019 13:36

Sindrome cardio-renale: problemi per il 20-40% in soggetti con scompenso cardiaco

Ronco (nefrologo): «Importante che cardiologi e nefrologi collaborino per migliorare la situazione clinica dei pazienti»
di Lucia Oggianu

Cuore e rene, organi anatomicamente lontani ma strettamente legati tra loro. Il coinvolgimento patologico di uno, infatti, può indurre conseguenze nell’altro. Si tratta di un’associazione di tipo fisiopatologico, definita “sindrome cardio-renale”, che crea problemi per il 20-40% in soggetti con scompenso cardiaco e per il 45-63% in pazienti con insufficienza cardiaca. Ce ne parla il professor Claudio Ronco, direttore del reparto di nefrologia dell’ospedale San Bortolo (Vicenza).

Professore, qual è il legame esistente tra problemi cardiaci e sindrome renale cronica?

«È noto da tempo che una disfunzione dell’organo cuore può dare problemi a livello renale. Nel 2008 abbiamo definito e classificato la sindrome cardio-renale come una disfunzione acuta o cronica del cuore, che può dare disfunzioni croniche o acute a livello renale e generare quella che chiamiamo sindrome cardiorenale. Sappiamo che disturbi come insufficienza cardiaca o addirittura sindromi coronariche acute possano dare poi origine a una disfunzione renale che, nel tempo, può portare a una insufficienza renale acuta e cronica. Questo può far capire l’importanza di quello che noi chiamiamo ‘chiacchierata tra gli organi’ e cioè una interazione importante a livello fisiologico e patologico della funzione di questi due organi».

Quali sono a riguardo gli approcci terapeutici migliori?

«Risulta evidente che se non curiamo la patologia di base, difficilmente potremmo avere un miglioramento anche del secondo organo coinvolto. Di conseguenza, in un paziente che ha un danno renale cronico derivante da una cronica alterazione della sua perfusione del sangue che gli arriva, in relazione a una grave insufficienza cardiaca, se noi non curiamo l’insufficienza cardiaca, non andremmo mai correggere il danno renale. È un modo evidente per far capire che i cardiologi e i nefrologi debbano collaborare insieme per il miglioramento della situazione clinica di questi pazienti».

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