I pazienti: «Fondamentale lavorare su impatto psichico dell’intensa ospedalizzazione e gestire l’intera sintomatologia oltre il rischio oncologico»
Una malattia rara, ma non rarissima, che colpisce un bambino su 13.500. Una sindrome con una moltitudine di sintomi, la maggior parte dei quali, presi singolarmente, presenti anche in altre sindromi o patologie. Una malattia non degenerativa, ma caratterizzata da un importante aumento del rischio oncologico. Parliamo della Sindrome di Beckwith – Wiedemann (BWS): particolarmente subdola, complessa, che rende difficile la diagnosi differenziale e la cui presa in carico, troppo spesso, si focalizza esclusivamente sulla prevenzione oncologica, lasciando in secondo piano la pur importante e spesso invalidante sintomatologia. Oggi, 6 aprile, in occasione della Giornata Mondiale dedicata, ne abbiamo discusso con Monica Bertoletti, amministratrice dell’Associazione Italiana Sindrome Beckwith-Wiedemann (AIBWS Odv). L’Associazione, attiva dal 2004 e accreditata presso l’Istituto Superiore di Sanità, oltre ad essere rappresentativa delle famiglie e dei pazienti con Sindrome di Beckwith-Wiedemann in Italia e all’estero, si avvale di un Comitato Scientifico formato da professionisti ed esperti di BWS.
«I nostri bambini non sono malati in senso stretto – spiega Bertoletti – ma hanno una serie di caratteristiche cliniche che vanno gestite. Queste caratteristiche sono, tra le altre, l’ipoglicemia, che va trattata adeguatamente, la macroglossia ovvero la lingua di dimensioni aumentate, e l’emipertrofia, cioè l’accrescimento sproporzionato di una parte o di metà del corpo. Tuttavia, un capitolo molto importante riguarda la gestione dell’aumentato rischio oncologico per alcuni tumori, tra cui epatoblastoma, neuroblastoma, rabdomiosarcoma. Nonostante l’aspetto della prevenzione oncologico sia quello che spaventa di più – sottolinea – è in realtà l’unico ad avere un protocollo ben definito, il che è sicuramente tranquillizzante. La difficoltà del quotidiano risiede nelle altre sintomatologie della BWS: la macroglossia, che nei suoi casi più gravi può ostacolare la respirazione e l’alimentazione, fino a rendere necessario l’intervento chirurgico; l’emipertrofia allo stesso modo, se particolarmente accentuata, va corretta chirurgicamente. E anche nei casi più lievi di queste manifestazioni, bisogna comunque fare i conti con fisioterapia, logopedia, e trattamenti per limitare le problematiche. Gli interventi – prosegue Bertoletti – devono essere fortemente personalizzati, proprio perché la sintomatologia si presenta con una gamma molto ampia di gravità che varia da caso e caso, e soprattutto si tratta di manifestazioni cliniche spesso comuni anche ad altre sindromi o patologie. E qui entriamo nel vivo delle criticità diagnostiche».
«La diagnosi è principalmente clinica – afferma – quella molecolare è a supporto nell’80% dei casi. La diagnosi clinica è complessa soprattutto nei casi in cui i sintomi sono lievi, anche perché si tratta di una sindrome su cui non c’è ancora un’estesa e approfondita conoscenza da parte dei medici. Solo chi è adeguatamente formato e specializzato può “comporre” il rebus di questi sintomi arrivare a una diagnosi esatta. L’individuazione precoce e corretta della BWS è di particolare importanza – osserva Bertoletti – soprattutto per quanto riguarda l’aspetto oncologico: una mancata diagnosi, o una diagnosi eccessivamente tardiva, può avere esiti drammatici, perché il tumore correlato a BWS, nel momento in cui si manifesta, ha una crescita più veloce a causa delle caratteristiche di iperaccrescimento della sindrome. Sicuramente la diagnosi molecolare permette una maggiore precisione, tempestività, e possibilità di pianificare un trattamento personalizzato. Ma oggi la situazione della diagnostica molecolare per le sindromi rare è veramente critica in Italia».
«Per quanto riguarda la diagnosi precoce per tumori BWS correlati – prosegue Bertoletti – i bambini ogni 3 mesi sono sottoposti alle analisi del sangue e ad ecografia completa dell’addome proprio per fare una eventuale diagnosi precoce. E poi ci sono tutti gli altri controlli per gli altri aspetti della malattia, i controlli di accrescimento, ortopedici, chirurgici maxillo-facciali, foniatrici. L’aspetto psicologico dell’ospedalizzazione frequente di questi bambini è un tema importante: noi, insieme all’Università di Trieste, stiamo finanziando un dottorato di ricerca che si occupa di indagare la percezione e l’impatto di questo livello di ospedalizzazione sulla socializzazione, e i risultati ad oggi evidenziano un grande problema di introversione».
«Un punto importante, per i pazienti, non è solo il poter contare su centri di eccellenza sul territorio – prosegue Bertoletti – perché sarebbero comunque pochi, probabilmente, e logisticamente difficili da raggiungere per tante famiglie, quanto piuttosto fare formazione a tappeto così da avere più medici specializzati su questa sindrome, in grado di riconoscere campanelli d’allarme che potrebbero sottendere ad un problema oncologico. Inoltre, ad oggi abbiamo molti adulti non diagnosticati che non sapevano dare un nome ai problemi che li hanno sempre accompagnati durante la vita. Il nostro comitato scientifico si sta occupando di cercare risposte alle domande che questi adulti stanno ponendo rispetto alle loro condizioni. Risposte che saranno utili – conclude l’amministratrice AIBWS – per essere preparati quando anche i nostri bambini con BWS, un domani, saranno adulti con precise esigenze».
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