Eugenio Grimaldi, presidente dell’Associazione Prader-Willi Campania e padre di una bambina affetta dalla sindrome: «Non scambiateli per bambini obesi con disturbi alimentari. Iperfagia e senso di non sazietà possono essere dovuti alla malattia genetica rara»
All’inizio hanno difficoltà a mangiare, poi non possono più farne a meno e bambini di 7-8 anni arrivano a pesare fino a 200 chili. (Troppo) spesso scambiati per bimbi che soffrono di disturbi alimentari, sono invece affetti dalla sindrome di Prader-Willi, una malattia genetica rara che colpisce un nato ogni 25mila, caratterizzata da iperfagia e mancanza di sazietà, difficoltà di apprendimento, disturbi comportamentali o problemi psichiatrici gravi. I primi due anni di vita di questi bambini sono caratterizzati da problemi alla deglutizione e all’allattamento; poi, l’obesità causata dall’iperfagia è la causa più importante di morbidità e mortalità.
«Abbiamo scoperto che nostra figlia è affetta dalla sindrome quasi subito – ci ha raccontato Eugenio Grimaldi, presidente dell’Associazione Prader-Willi Campania, che ha ritirato il Premio OMAR per la migliore divulgazione attraverso video per lo spot “Ciak! Molto bene!” per la capacità di rappresentare in maniera inedita e originale la reazione umana di fronte ad una malattia rara e sconosciuta -. Arrivare velocemente alla diagnosi è stato molto importante, perché prima si agisce meglio è. Si limitano i danni – prosegue – perché conoscendo e affrontando la sindrome di Prader-Willi gli specialisti possono alleviare determinate difficoltà».
La sindrome infatti non è ancora curabile, ma la somministrazione dell’ormone della crescita GH sin dai primi mesi di vita sta dando ottimi risultati: «Non elimina il senso di non sazietà, ma è stato scientificamente provato che chi assume l’ormone somatotropo può avere una qualità di vita nettamente migliore», specifica Grimaldi. Come in tante altre malattie, la diagnosi precoce è quindi fondamentale. E per questo l’Associazione Prader-Willi Campania lavora per far conoscere la sindrome il più possibile.
«Per le famiglie di un bambino affetto dalla sindrome – aggiunge il presidente dell’Associazione – gestire la quotidianità non è semplice. Organizziamo quindi dei percorsi di aiuto per i genitori e lottiamo per rendere più nota e quindi facilmente riconoscibile la sindrome. Così – conclude – cerchiamo di offrire un futuro migliore ai nostri figli».
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