Sirio è un bambino di 7 anni tetraplegico. La sua mamma, Valentina, da due anni ha deciso di condividere la quotidianità della sua famiglia, sconvolta da una disabilità gravissima, sui social con un racconto ironico e provocatorio. Ora sogna di istituire una Fondazione
Non chiamatela mamma coraggio. Valentina Perniciaro, madre di Sirio, un bambino di 7 anni tetraplegico fin dai primi mesi di vita, non usa mezzi termini: racconta la sua storia senza orpelli o frasi retoriche che possano attirare pietismi. È così che ha scelto di esprimersi, sia nel mondo reale che in quello virtuale, raccontando la disabilità in modo provocatorio e autentico. Racconti che, da due anni, ha voluto condividere con il mondo intero, o almeno con chi avesse voglia di leggere i suoi post e guardare le foto e i video di Sirio, per entrare nella quotidianità di una famiglia sconvolta da una grave disabilità.
Una vita dura, di anni (soprattutto i primi) letteralmente insonni, caratterizzati da una fatica fisica e psicologica così intensa che è difficile anche solo immaginare di poter sopportare. «Ma quando ci sei dentro non hai altra scelta. Impari ad avere sangue freddo, a compiere manovre salvavita, ad utilizzare cannule e sondini: non faresti in tempo a chiedere aiuto ad altri che già sarebbe troppo tardi», spiega Valentina.
Eppure l’amore di una madre per il proprio figlio, il suo coraggio, non sono sufficienti: «Per assistere un bambino come Sirio – dice Valentina – la dedizione della mamma e di un papà non bastano. È necessario che ci sia un sistema di cura e assistenza efficace ed efficiente: supporto domiciliare, terapie, visite mediche, esami diagnostici, presidi adeguati».
Per ottenere tutto questo, ciò che ad un bambino come Sirio spetterebbe di diritto, Valentina ha dovuto rimboccarsi le maniche, affrontare infinita burocrazia, incontrare avvocati, mettersi in coda agli sportelli anche solo per ricevere un’informazione. Un percorso così faticoso che ha deciso di condividere con altri genitori, nella speranza di rendere la loro salita un po’ meno ripida.
Così, Valentina si è dedicata anima e corpo a questo progetto social, cominciando da una pagina Facebook (Sirio e i tetrabondi), per poi approdare su Twitter ed Instagram, fino alla creazione di un blog. «Questi bambini hanno diritto alla felicità come tutti gli altri loro coetanei – dice Valentina -. Devono essere parte di una società in grado di accoglierli e comprenderli, anche quando la loro disabilità gli impedisce di comunicare. Lottiamo ogni giorno affinché tutti i piccoli con bisogni speciali possano ottenere un’istruzione adeguata, una formazione lavorativa. Non devono essere considerati bambini a vita, ma guidati verso l’età adulta. Con il nostro racconto vogliamo che tutte le famiglie che vivono una situazione simile alla nostra abbiano la forza di uscire di casa, di vivere la disabilità dei loro figli nella società. Isolarsi non è la soluzione», assicura la donna.
Anche Sirio ha lottato per se stesso, fin dal suo primo anno di vita: «Sirio -racconta la mamma – è un bambino nato prematuro, ma in ottime condizioni. Dopo otto giorni dalle dimissioni dal reparto di Terapia Intensiva dell’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma, avvenute forse un po’ troppo presto, sopravvive ad un episodio di morte in culla. Da qui comincia il suo calvario. La diagnosi iniziale è di stato vegetativo, poi, dopo qualche tempo, riprende coscienza e viene trasferito nel reparto di Neuroriabilitazione. La sua diagnosi si trasforma in tetraparesi spastica e paralisi cerebrale, condizioni sulle quali, negli anni, ha imparato a costruire la sua autonomia».
Oggi Sirio entra a scuola sulle sue gambe. Ma per poterlo fare, ha dovuto affrontare un faticosissimo percorso di riabilitazione, che continua ancora oggi e che proseguirà nel futuro. Raccontando questa quotidianità Valentina ha instaurato legami con genitori che affrontano le stesse difficoltà, ma anche con persone che non si erano mai rapportate in modo così diretto con una disabilità gravissima.
Dopo due anni di post, foto e video, Valentina si è resa conto che raccontare non basta. Per cambiare le cose bisogna agire: «Abbiamo deciso di istituire una Fondazione, per la quale proprio in questi giorni abbiamo cominciato una campagna di raccolta fondi. Ci occuperemo soprattutto di chi ha problemi comunicativi – racconta Valentina – per far capire l’importanza, anche nel mondo del lavoro, dell’inclusione di chi utilizza la lingua dei segni o la comunicazione aumentativa. Vogliamo che sia rispettato il diritto di queste persone ad avere strumenti che gli permettano di comunicare, di poter rispondere o porgere una domanda, così da essere parte attiva della propria vita e della società in cui vivono. L’inclusione reale – conclude la mamma di Sirio – va costruita e non semplicemente raccontata».
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