Individuato, dai microbiologi del Gemelli, in un 69enne affetto da SLA un batterio Gram positivo anaerobio. Il ricercatore: «Il microbiota intestinale potrebbe essere coinvolto nella disfunzione dei linfociti T regolatori che, in pazienti con SLA, sarebbero una concausa di questa patologia multifattoriale. L’obiettivo futuro è cercare di rallentare la progressione della patologia agendo sulla modulazione del microbiota»
Terapie cucite su misura per ogni singolo paziente, proprio come se si trattasse di un abito sartoriale. È questo a cui punta la medicina moderna ed è a questo stesso obiettivo che hanno mirato i ricercatori microbiologi dell’Università Cattolica di Roma, studiando il microbiota dei malati di sclerosi laterale amiotrofica (SLA). In uno di questi pazienti, un uomo di 69 anni affetto da SLA, gli studiosi hanno isolato il Rummeliibacillus suwonensis, un batterio Gram positivo anaerobio.
L’isolamento del Rummeliibacillus suwonensis è avvenuto nell’ambito del primo trial clinico mondiale su modello umano che studia la possibile interazione tra microbiota intestinale, sistema immunitario e Sclerosi Laterale Amiotrofica, una grave malattia multisistemica, caratterizzata da una progressiva debolezza muscolare e da disfunzione cognitiva. Il trial clinico vede coinvolti la professoressa Jessica Mandrioli, Neurologa dell’Azienda ospedaliera Universitaria Modena, il professore Amedeo Amedei, Immunologo dell’Università di Firenze e il professore Luca Masucci, responsabile dell’Unità Operativa di Diagnostica Molecolare e manipolazione di Microbiota del Dipartimento di Scienze di Laboratorio e Infettivologiche del Policlinico A. Gemelli e ricercatore dell’Università Cattolica.
«Una evidenza che potrebbe aprire scenari molto interessanti – spiega Luca Masucci -. Questo batterio è stato precedentemente isolato in campioni ambientali. Riscontrare tali tipi di batteri “inusuali” consente di monitorare l’evoluzione e/o il passaggio di questi dall’ambiente all’uomo e il loro possibile ruolo come concausa in disturbi intestinali o sistemici. Questo significa che, laddove le nostre ricerche dovessero concretizzarsi, si potrebbe valutare un trattamento rivolto a quei pazienti con SLA che presentino un’alterazione dei T-reg e, potenzialmente, potrebbe essere in grado di rallentare la progressione della patologia».
Ma andiamo con ordine. Per comprendere meglio l’importanza di questa scoperta è necessario innanzitutto capire che cos’è il microbioma intestinale e quali sono le sue funzioni. Per le sue dimensioni – supera i 3 Kg di peso – è ormai considerato da molti un vero e proprio organo, interessato da un boom di ricerche, esplose negli ultimi 10 anni, passando da qualche centinaio di lavori l’anno, prima del 2010, alle decine di migliaia di pubblicazioni del 2021. «Il microbiota intestinale – spiega Masucci – è un ecosistema complesso composto da trilioni di microrganismi che sono cruciali per la salute umana. Al momento abbiamo a disposizione due opzioni per esplorarne la complessità: la metagenomica e la colturomica. Quest’ultimo è un approccio che utilizza varie condizioni di coltura (giorni di incubazione, fattori di arricchimento della coltura e temperatura di crescita) e la successiva analisi dei componenti del microbioma, attraverso la spettrometria di massa ed eventualmente il loro sequenziamento». Il Rummeliibacillus suwonensis è stato isolato proprio grazie ad uno speciale protocollo di colturomica, messo a punto dai ricercatori del Gemelli.
Da 6 anni, il gruppo del professor Masucci, del quale fanno parte il dottor Gianluca Quaranta, il dottor Giovanni Fancello e la dottoressa Alessandra Guarnaccia, si dedica all’isolamento di ceppi batterici difficilmente coltivabili, mettendo insieme una collezione, cosiddetta “ceppoteca”, di circa 400 diverse specie batteriche. Questo approccio metodologico consente di isolare ceppi batterici potenzialmente correlati a patologie intestinali o sistemiche, da sottoporre a successive valutazioni. «Rummeliibacillus suwonensis non è stato al momento associato a quadri clinici – conclude il professor Masucci – Ciò porrebbe le basi per futuri studi di relazione tra ospite e microrganismo, in un’ottica di “one health” e di medicina personalizzata».
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