Basta respirare aria inquinata dai fumi emessi dalle automobili anche solo per tre anni per «risvegliare» cellule mutate silenti che possono causare il tumore ai polmoni. A dimostrarlo è uno studio pubblicato sulla rivista Nature
Basta respirare aria inquinata dai fumi emessi dalle automobili anche solo per tre anni per «risvegliare» cellule mutate silenti che possono causare il tumore ai polmoni. A dimostrarlo è uno studio condotto dal Francis Crick Institute, pubblicato sulla rivista Nature, secondo il quale potremmo essere vicini a spiegare il perché ci sono così tanti non fumatori che si ammalano lo stesso di cancro ai polmoni. Non solo. I ricercatori sono convinti che le loro scoperte possano portare allo sviluppo di nuovi farmaci in grado di impedire il «risveglio» di queste cellule dormienti.
«Il nostro studio ha cambiato radicalmente il modo in cui vediamo il cancro ai polmoni nelle persone che non hanno mai fumato», spiega Charles Swanton, del Francis Crick Institute e tra gli autori dello studio. «Le cellule con mutazioni che causano il cancro si accumulano naturalmente con l’avanzare dell’età, ma normalmente sono inattive. Abbiamo dimostrato – cont-inua – che l’inquinamento atmosferico risveglia queste cellule nei polmoni, incoraggiandole a crescere e potenzialmente a formare tumori. Il meccanismo che abbiamo identificato potrebbe in definitiva aiutarci a trovare modi migliori per prevenire e curare il cancro ai polmoni nei non fumatori». Se infatti saremo in grado di fermare la risposta delle cellule all’inquinamento atmosferico, secondo i ricercatori, possiamo ridurre il rischio di cancro ai polmoni.
Nello studio sono stati analizzati i dati relativi a 407.509 persone, 32.957 delle quali avevano sviluppato cancro al polmone. Il particolato PM2,5, spiegano gli esperti, può viaggiare in profondità negli alveoli e all’interno dei polmoni. Alcuni fattori ambientali, come l’esposizione a questo inquinante, risultano associati alla presenza di mutazioni di geni EGFR o KRAS, che svolgono un ruolo chiave nella replicazione delle cellule cancerose. Gli scienziati hanno considerato le informazioni relative a pazienti provenienti da Inghilterra, Taiwan, Corea del Sud e Canada, riscontrando una correlazione tra il PM2,5 e una specifica mutazione del gene EGFR. Attraverso i dati raccolti da 228 individui canadesi con cancro al polmone, gli scienziati hanno identificato una maggiore frequenza di casi di tumore al polmone a seguito di tre anni di esposizione agli inquinanti atmosferici. Questo suggerisce che tre anni di alti livelli di inquinamento potrebbero essere sufficienti a favorire lo sviluppo del cancro.
Inoltre, in una serie di test condotti sui topi, gli studiosi hanno valutato i processi cellulari che potrebbero essere alla base della progressione dei tumori in relazione all’inquinamento atmosferico. Stando a quanto emerge da queste analisi, il PM2,5 sembra innescare un afflusso di cellule immunitarie e il rilascio di interleuchina-1β (una molecola di segnalazione pro-infiammatoria) nelle cellule polmonari. Tali configurazioni tendono a esacerbare l’infiammazione e guidare la progressione del tumore. Gli scienziati ipotizzano che le cellule alveolari di tipo II (AT2) potrebbero rappresentare l’elemento alla base dello sviluppo del cancro. Nel complesso, concludono gli autori, questi risultati suggeriscono che il PM2.5 potrebbe agire come promotore del tumore e aggravare ulteriormente le mutazioni cancerose esistenti. Una nuova comprensione di questa relazione può aprire strade per la prevenzione e la cura di questi tipi di tumore.
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