In un editoriale sul Guardian, il dottor Salisbury fa qualche calcolo e ricorda che “vaccinare” non significa immediatamente risolvere la pandemia. E si chiede: «Ha senso vaccinare solo i fragili? Come si raggiunge l’immunità?»
Quando i numeri della pandemia e la curva al rialzo sembrano prendere il sopravvento, c’è sempre una frase che accomuna sia leader politici che cittadini per tornare a pensare positivo. «Il vaccino potrebbe essere pronto per Natale», nero su bianco come una rapida via d’uscita dalla difficile situazione emotiva di tutti. Anche il presidente del Consiglio Giuseppe Conte lo ha ricordato, riferendosi al vaccino Oxford/Astrazeneca, e invitando gli italiani a resistere ancora un po’.
Ma è poi vero che l’uscita di un vaccino a dicembre potrebbe permetterci di tornare in breve tempo alla vita normale? Se lo è chiesto David Salisbury, ex direttore dell’immunizzazione del Department of Health UK e membro associato del Global Health Program di Chatham House sul Guardian. E la sua risposta è stata: «No, e dovremmo essere tutti più realisti».
È una doccia fredda quella che lo scienziato propone, ma è anche un altro modo di guardare da vicino la pandemia e quello che si sta facendo per eliminarla. Prima di tutto bisogna accettare che nessun vaccino, men che meno quelli preparati in tempi così brevi, è efficace al 100%. Dunque anche l’immunità di gregge è solo una questione numerica: «Dobbiamo moltiplicare la proporzione di una popolazione vaccinata per l’efficacia del vaccino».
Il Regno Unito ha una tra le coperture antinfluenzali più alte al mondo, vaccina circa il 75% degli over 65 ogni anno. In Italia si arriva poco sopra il 50%. Ci si potrà aspettare una copertura simile anche per il vaccino anti-Covid su questa fascia di età.
«Pertanto, se il vaccino Covid-19 è efficace al 75%, il che significa che il 75% di coloro vaccinati diventa immune, allora in realtà proteggeremo solo il 56% di quella popolazione target (75% del 75%). Questo non sarebbe sufficiente per fermare la circolazione del virus. Quasi la metà del nostro gruppo a più alto rischio rimarrebbe suscettibile e non sapremo chi sono», chiarisce Salisbury. E paragona l’allentamento delle misure con una simile situazione alla roulette russa.
Sotto i 65 anni l’Uk vaccina al massimo il 50% dei cittadini contro l’influenza. «Ciò significa che poco più di un terzo di loro sarà protetto (50% del 75%). Giusto per peggiorare le cose, le autorità di regolamentazione come la Food and Drug Administration degli Stati Uniti e l’Agenzia europea per i medicinali hanno affermato che accetterebbero un livello inferiore del 50% per l’efficacia dei vaccini candidati Covid-19», aggiunge.
Vaccinare per tornare alla normalità significa vaccinare tutti, non solo le persone a rischio o quelle anziane. L’obbiettivo non può essere la protezione individuale, ma deve essere l’interruzione della trasmissione. «Con meno del 10% della popolazione che mostra prove di essere stata infettata, la vaccinazione mirata non consentirà il ritorno della “vita di prima”», è netto su questo Salisbury. Ma per fare una scelta come quella di vaccinare tutti, saranno necessari molti mesi e molte dosi. Il 2021 non sembra l’anno in cui la normalità potrebbe tornare.
«Anche se i paesi decidono di passare da una politica di protezione personale a una strategia di interruzione della trasmissione, gli ostacoli rimangono – conclude Salisbury -. Molto dipenderà dal successo della vaccinazione (probabilmente con due dosi) di persone che non si sono viste in precedenza a rischio elevato. La sfida sarà convincere i giovani, ad esempio, a vaccinarsi, non a proprio vantaggio, ma a beneficio degli altri».
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