Tra i temi che accendono il dibattito sulle staminali cordonali c’è anche la loro conservazione. La proposta di Pierangela Totta (Futura Stem Cells): «Avviare collaborazione banche pubbliche e private»
Da anni le cellule staminali cordonali sono al centro del dibattito scientifico, tra realtà clinica e speranza per il trattamento di numerose patologie. Parliamo di cellule “primitive” contenute nel sangue del cordone ombelicale prelevabili e conservabili solo dopo il parto.
Si tratta di cellule uniche, che possono trasformarsi in sangue ed essere la terapia per più di 84 malattie grazie alle loro particolarità: presentano caratteristiche geniche che stesse cellule da altre fonti non hanno e trovare un donatore compatibile con le cellule del cordone ombelicale è più facile, poiché se trapiantate danno meno rigetto.
A Roma, decine di ricercatori provenienti da tutto il mondo si sono incontrati per fare il punto sui nuovi studi riguardanti le cellule staminali e il loro trapianto.
«Le cellule cordonali rappresentano una fonte per il trapianto di midollo osseo molto importante, – ha spiegato ai microfoni di Sanità Informazione Marina Cavazzana, ricercatrice e Direttore del Dipartimento di Bioterapie dell’Ospedale Necker a Parigi – ma come altre fonti di cellule staminali ematopoietiche abbiamo bisogno di una buona compatibilità perché siano utilizzate con successo».
«Le applicazioni di cellule staminali da cordone sono molteplici e variano, – è il parere di Annalisa Ruggeri, ematologa e anche lei volata a Parigi per lavorare all’Eurocord del Saint Louis – dalle malattie maligne come le leucemie e i linfomi, ma anche malattie ereditarie, come malattie genetiche. Ad esempio, l’anemia di Fanconi, che peraltro poi è la prima malattia che è stata trattata con il trapianto di cellule cordonali. Oppure malattie non maligne del midollo osseo, come ad esempio le talassemie e le emoglobinopatie. Ci sono ovviamente determinati fattori che nel corso degli anni sono state fonti di studio e hanno evidenziato come i risultati del trapianto di cellule staminali cordonali variano fondamentalmente per due fattori: i criteri della compatibilità HLA e i criteri di dose cellulare. Esiste una dose cellulare necessaria per permettere che queste cellule, che sono appunto delle cellule molto giovani attecchiscano e possano poi moltiplicarsi e controllare soprattutto la patologia nel lungo termine».
Proprio sull’aumento della dose cellulare delle sacche di sangue cordonale, importanti studi arrivano dagli Stati Uniti. «Ci sono molte strategie, di cui abbiamo parlato, – spiega Elizabeth J. Shpall, direttore del GMP Cell Therapy Laboratory and Cord Blood Bank, all’Università del Texas – che mostrano la possibilità di espandere le cellule staminali pluripotenti e, in alcuni casi, anche le cellule ancor più primitive. Sono dati ormai maturi, abbiamo numerosi trial clinici che dimostrano i benefici dell’engrafment (cioè della ricostituzione del midollo osseo), quindi credo che la risposta sia sì. Diventeranno sempre più disponibili in modo più ampio, offriranno il maggior beneficio permettendo alle banche di utilizzare le unità più piccole».
Il sangue cordonale viene raccolto alla nascita e in Italia può essere donato a banche pubbliche oppure conservato privatamente ma solo in banche private estere. La donazione nelle banche pubbliche può essere solidaristica e anonima. Infatti, svolge la funzione di contenitore da cui poter attingere per trapianti allogenici, ossia quando donatore e ricevente di un trapianto sono persone differenti.
Tuttavia, la banca pubblica prevede anche la possibilità di fare una donazione autologa dedicata, per trapianti autologhi, ossia quando il donatore e il ricevente sono la stessa persona; oppure una donazione intrafamiliare, cioè tra familiari compatibile. Una possibilità che le banche pubbliche prevedono solo in situazioni in cui o il feto o uno stretto familiare ha una malattia tra quelle trattabili con il trapianto di cellule staminali o ancora ha un’elevata probabilità di svilupparla.
In alternativa, è possibile fare una conservazione autologa familiare privata, anche in assenza di specifiche malattie, a proprie spese, inviando i campioni all’estero. In altri paesi, perciò, esistono banche di natura privata che permettono la conservazione del sangue cordonale del proprio bambino e delle cellule staminali contenute in esso. In questo caso, le cellule staminali possono essere utilizzate per il trapianto autologo. Si tratta dell’auto trapianto delle proprie cellule, adeguatamente trattate.
Sul trapianto di cellule staminali autologhe la ricerca sta portando avanti diversi studi. Risultati molto promettenti si sono raggiunti, e sono già in fase 2, nel trattamento dell’autismo e delle paralisi cerebrali. «Abbiamo visto risultati incoraggianti in studi clinici randomizzati di fase due su trasfusioni di sangue cordonale in bambini con paralisi cerebrale. Questi risultati – racconta Joanne Kurtzberg, MD practices al Duke Children’s Hospital & Health Center in Durham – dovranno essere confermati dalla fase tre che stiamo pianificando, ma i risultati ottenuti finora indicano un miglioramento nella funzione motoria nei bambini con paralisi cerebrale dopo la trasfusione di sangue cordonale. Non si tratta di una cura, ma di un miglioramento».
Intanto, si è aperto un dibattito sulla convivenza di queste due tipologie di banche e della possibilità di creare delle banche miste. Una risoluzione firmata dal Parlamento Europeo già nel 2012 sulla donazione volontaria di tessuti e cellule, sancisce che i cittadini debbano essere informati di tutte le opzioni esistenti relative alla donazione del sangue cordonale alla nascita, inclusa la conservazione in banche private o pubbliche, con un invito agli Stati membri a migliorare la tutela dei diritti dei genitori al consenso informato e alla libertà di scelta.
In questi mesi, infatti, Futura Stem Cells, attraverso il suo direttore scientifico, la dottoressa Pierangela Totta, aveva già lanciato la proposta in Senato di una sinergia tra banche pubbliche e banche private, sul modello svizzero. «Nelle banche ibride in qualche modo è un nuovo modello che può coniugare i due aspetti. Una vera e propria banca ibrida ancora non c’è. Ci sono delle banche private che in qualche modo mettono a disposizione, per la comunità scientifica nazionale e internazionale, dei campioni conservati nella propria banca. C’è un nuovo modello che sta partendo in Svizzera proprio dal 2019, in cui una banca privata si è unita alle banche pubbliche per fare questo, per aumentare il numero di campioni nel registro nazionale e per far sì così che si possano avere più donatori, più persone che possono ricevere quel campione».
«Ed è per questo che noi proponiamo in qualche modo una cosa simile ma contraria, cioè farci accogliere dalle banche pubbliche, istituire delle banche ibride in cui le persone possano scegliere anche in Italia, dove ad oggi è possibile la conservazione privata, ma non è possibile avere una banca privata. Quindi le coppie italiane devono, per conservare in maniera privata, andare necessariamente all’estero. Coniugare i due aspetti, – conclude Pierangela Totta – esser presenti in una banca pubblica con dei campioni privati, ma dei campioni che se raggiungessero un livello tale da poterli mettere in un registro nazionale, possano essere realizzati per la comunità scientifica e per le persone, sarebbe per noi un’opportunità da cogliere per il nostro Paese».