Dalla formazione per il personale sanitario al consenso informato di chi deve subire un’operazione. Sono tante le possibili applicazioni di questo tipo di tecnologia all’ambito medico, ma le prospettive sono ancora migliori…
Siamo ancora lontani dalla creazione di organi funzionanti da trapiantare nel corpo umano, ma la stampa 3D applicata alla sanità è già arrivata ad un livello di qualità ed efficienza molto utile sia ai medici che ai pazienti. Per i primi, avere una riproduzione in tre dimensioni di un organo o di una tac può rendere più facili le operazioni; per i secondi, invece, vedere con i propri occhi quel che il chirurgo andrà a fare contribuirà in maniera determinante a renderlo ancora più cosciente e informato rispetto all’intervento. Insomma, formazione del personale medico e consenso informato sono gli ambiti in cui, secondo quanto ci ha raccontato la dottoressa Stefania Marconi del Protolab, Università di Pavia, la stampa 3D riscuote al momento i maggiori successi. Ma le prospettive non sono affatto da meno.
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Dottoressa Marconi, lei si occupa di stampa 3D applicata alla sanità. Ci può dire qual è attualmente lo stato dell’arte e come può essere utile per la sanità e per il medico?
«Per quanto riguarda lo stato dell’arte della stampa 3D in Italia, le porto l’esempio che abbiamo noi a Pavia come Università e centro di ricerca che si occupa di queste tematiche dal 2011. La stampa 3D per noi consiste, al momento, principalmente nella conversione di un’immagine tac in un modello stampato, per l’appunto, in 3D, che aiuti il chirurgo nella pianificazione dell’intervento. Sostanzialmente dunque è un modo diverso di presentare l’immagine, ovvero un dato che il chirurgo già conosce, ma presentato in una maniera molto più efficace. In diverse ricerche che abbiamo fatto in Università abbiamo visto che il modello stampato in 3D permette di trarre molto più rapidamente l’informazione, permettendo così al chirurgo di pianificare meglio l’intervento e ridurre, potenzialmente, i rischi e i tempi dell’operazione stessa. Questo tipo di modello può, grazie proprio a questa facilità di comprensione anatomica, aiutare anche il chirurgo con poca esperienza. Parliamo chiaramente di interventi particolari, come ad esempio chirurgia addominale o anatomia vascolare, molto difficili da inquadrare mentalmente guardando solo una tac».
E per il paziente?
«Per quanto riguarda il paziente, siamo ancora troppo lontani dalla possibilità di stampare organi che possano essere impiantati. C’è da dire però che la conversione di un’immagine in un modello stampato e la sua presentazione al paziente prima dell’intervento gli permette di comprendere meglio a cosa andrà incontro e i rischi dell’operazione. Da una parte dunque può capire meglio, dall’altra può sentirsi davvero informato. Questo fattore è molto importante anche da un punto di vista legale, perché quando il paziente firma il consenso informato l’importante è che abbia davvero capito, e su interventi spesso molto complessi è difficile arrivare a questo obiettivo».
Pensando invece ai possibili sviluppi, a cosa si può arrivare a lungo termine?
«Senza dubbio si può arrivare ad un ampliamento dell’utilizzo attuale di queste metodiche per la formazione. Quindi avere dei phantom che possono essere arricchiti con il dettaglio dell’anatomia del paziente, cosa che consente di avvicinarsi il più possibile alle condizioni effettive dell’operazione e, di conseguenza, effettuarla più velocemente. Questo aspetto potrebbe migliorare la formazione. Guardando più al futuro, possiamo parlare del bioprinting: come dicevo, siamo ancora lontani dalla stampa di strutture funzionali, ma siamo molto più vicini alla produzione, ad esempio, di modelli per lo studio dei tumori. Quindi possiamo andare ad implementare qualcosa che, al momento, si può fare soltanto con il modello animale. Altro campo interessante è quello della stampa di piccole componenti, molto semplificate dal punto di vista della complessità cellulare, ma che possano risultare molto utili per gli studi in laboratorio».