Intervista all’infettivologo Stefano Vella: «Doveva finire la fase del terrore, non della paura. La paura in questi casi ci salva la vita»
«Su questo virus, dal mese di giugno circa, sono iniziate a circolare delle sciocchezze madornali: che fosse meno aggressivo, che la sua carica virale fosse scemata, che il caldo lo stesse indebolendo (come se i Paesi tropicali e l’America centrale non fossero in piena epidemia). Stupidaggini». Non usa mezzi termini l’infettivologo Stefano Vella, docente di Salute Globale all’Università Cattolica di Roma, per commentare ai nostri microfoni la risalita dei contagi da Covid osservata nelle ultime settimane in Italia. Insieme a lui abbiamo affrontato i punti più scottanti legati al virus e alle prospettive per il prossimo autunno, dalla strategia per la riapertura delle scuole in sicurezza al tracciamento e trattamento dei casi.
Con una precisazione, necessaria: «Il virus è sempre lo stesso e a chi paventa la seconda ondata (che, vi assicuro, arriverà) vorrei ricordare che la prima ondata, in realtà, non è mai finita. Il virus, dopo aver ovviamente rallentato per effetto del lockdown, sta tornando a circolare a livelli preoccupanti. E se la percezione collettiva è quella di un virus meno aggressivo, che fa meno morti e meno intubati, è solo perché l’età media dei contagiati si è drasticamente abbassata, di conseguenza ci sono più paucisintomatici e asintomatici. I quali, però, a loro volta contagiano eccome».
«È successo – sostiene Vella – che, come era ampiamente prevedibile dopo tre mesi di lockdown, la popolazione ha sentito un fortissimo bisogno di tornare alla vita di sempre. Complice l’effettivo calo di contagi che, ripeto, è dovuto esclusivamente al lockdown dei mesi precedenti (una misura che funziona e ha funzionato a dovere dal punto di vista sanitario) e al contestuale “allargamento delle maglie” (la riapertura dei confini, la possibilità di tornare a viaggiare eccetera), il risultato è stato di generare la falsa convinzione che il virus fosse quasi scomparso, azzerando ogni timore e di conseguenza, provocando una scarsissima aderenza alle norme di prevenzione e di distanziamento sociale ancora in vigore, dall’uso delle mascherine all’evitare assembramenti».
«Sarebbe dovuta finire la fase del terrore, non quella della paura – sottolinea l’infettivologo -. La paura in questi casi è ciò che ci fa drizzare le antenne, non ci fa abbassare la guardia, ci spinge ad essere prudenti e a proteggerci. In poche parole, ci salva la vita».
«Riaprire le scuole per poi chiuderle sarebbe una catastrofe per le famiglie – ammette Vella – così come un nuovo lockdown significherebbe il tracollo economico e sociale per il nostro Paese. Ecco perché dobbiamo fare in modo di non arrivare a tanto, di nuovo». In che modo?
«Tanto per cominciare, un ruolo importante lo giocherà il ricorso massiccio alla vaccinazione antinfluenzale. Bisognerà vaccinare a tappeto – sostiene l’infettivologo – non solo gli anziani e le categorie a rischio. Scremare i potenziali casi Covid da quelli di influenza stagionale sarà il primo tassello utile a non ripiombare nel caos».
«Innegabilmente – osserva Stefano Vella – la seconda ondata non ci coglierà impreparati. La prima fase dell’epidemia ci ha insegnato molto, sia dal punto di vista del tracciamento che del trattamento. Le Asl territoriali saranno in prima linea per entrambi gli aspetti, perché abbiamo visto come sia importante gestire la situazione sul territorio piuttosto che, in prima istanza, negli ospedali».
«Per quanto riguarda i casi da ospedalizzare – prosegue – anche lì ora sappiamo meglio come trattare e quali farmaci usare. Il tutto, ovviamente, nella speranza che arrivi presto un vaccino. Le premesse ci sono, le prime sperimentazioni sono promettenti, sono abbastanza fiducioso».
Due anni fa, nel 2018, Vella aveva preventivato la possibilità di una pandemia negli anni a venire. Una eventualità che, come abbiamo visto, si è verificata, ma la cui portata non è stata subito riconosciuta. «Non si tratta di essere indovini: come me, ogni infettivologo sa che con le condizioni attuali di globalizzazione e di facilità dei trasporti e di circolazione di merci, persone e animali, i fattori predisponenti a una pandemia sussistono costantemente. Si tratta quindi di accettare e contemplare la possibilità che questo, prima o poi, si verifichi. Ecco quello che non c’è stato – conclude Vella – nelle prime fasi dell’epidemia durante il mese di gennaio: il coraggio di ammettere che sì, nel mezzo di una pandemia ci eravamo già fino al collo. E agire subito di conseguenza».