Malattia autoimmune, sistemica e degenerativa, la sindrome di Sjögren provoca secchezza di vari organi e può aggredire l’apparato osteo-articolare, l’apparato cardiovascolare e quello respiratorio. La presidente della Onlus A.N.I.Ma.S.S.: «Deve essere riconosciuta come malattia rara»
Lucia ha dovuto aspettare cinque anni per ricevere la diagnosi di sindrome di Sjögren. Cinque anni trascorsi «senza essere creduta nemmeno dalla famiglia», che pensava fosse «depressa, ansiosa o bisognosa di cure psichiatriche». Intanto, il suo corpo si seccava.
È la secchezza – «se lo vogliamo banalizzare» – il sintomo principale della sindrome di Sjögren. Malattia autoimmune, sistemica e degenerativa, colpisce le ghiandole esocrine provocando, in primis, secchezza degli occhi e della bocca, ma poi può aggredire tutte le mucose dell’organismo fino ad arrivare agli organi vitali come cuore, fegato, reni, pancreas. Sintomi complessi da interpretare che rendono quindi difficile la diagnosi, ma da non sottovalutare: «La secchezza può diventare fatale – spiega ai nostri microfoni Lucia Marotta, che presiede la Onlus A.N.I.Ma.S.S. (Associazione nazionale italiana malati sindrome di Sjögren) -, perché ad esempio la cornea può facilmente lesionarsi e portare alla perdita del visus e l’assenza di saliva può rendere difficile l’alimentazione. Ma oltre ad avere conseguenze sulla qualità della vita, la sindrome di Sjögren è la malattia autoimmune con il più alto tasso di incidenza del linfoma non Hodgkin».
Lucia Marotta ha raccontato in un libro cosa significa convivere con questa malattia: «Ho scritto la storia di 50 donne che soffrono di questa sindrome. Una malattia invisibile, subdola e misteriosa, che pochi conoscono e che, appunto, colpisce soprattutto le donne, in particolar modo tra i 20 e i 30 anni e durante la menopausa. Persone, circa 16mila in Italia, che soffrono in silenzio, che aspettano anni per avere una diagnosi, che vivono il dramma ulteriore di non essere credute. Perché essere malati non è certo piacevole, ma essere malati e non creduti, mi creda, è una cosa terribile», aggiunge la presidente della Onlus.
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Quando, poi, per Lucia è arrivato il momento della diagnosi, pensava di «aver raggiunto un grande obiettivo», e invece «è stata una condanna a morte». «Io l’ho vissuta così – spiega – perché 20 anni fa la conoscenza di questa sindrome era molto limitata. Per questo ho iniziato a combattere per dar voce a chi ne soffre creando l’associazione e scrivendo diversi libri, che sono stati anche tradotti in cortometraggi».
Due gli obiettivi che si è posta: «Far conoscere il dramma di chi vive con questa patologia e sensibilizzare medici e istituzioni perché questa malattia sia riconosciuta, nella forma primaria sistemica, come rara. Cosa che consentirebbe una presa in carico che oggi non esiste, la creazione di ambulatori specifici che non ci sono; che aprirebbe le porte alla ricerca su una malattia ancora troppo poco conosciuta e al riconoscimento dei farmaci, sostitutivi ma vitali per chi soffre di questa patologia».
Una cura per la sindrome di Sjögren, infatti, non c’è: «Ci sono palliativi che consentono di alleviare il dolore con cui altrimenti saremmo costretti a vivere. Dal cortisone agli immunosoppressori, dagli antistaminici agli oppioidi. C’è anche chi sta provando la cannabis terapeutica, ma a sue spese, cosa che non trovo corretta».
«I medici devono conoscere questa malattia – continua Lucia Marotta -. Il sospetto diagnostico dei medici di medicina generale potrebbe essere di grande aiuto, e la creazione di una rete tra ospedale e territorio, che consenta lo scambio di esperienze tra diversi specialisti, sarebbe fondamentale. Senza dimenticare la necessità di frequentare corsi di formazione, dedicati in particolare alle malattie rare, quelle meno conosciute. In fondo – conclude – chiediamo solo più attenzione e un amore sincero verso chi soffre».