In occasione della Giornata Mondiale delle Malattie Rare, due pazienti spiegano cosa significa essere talassemici oggi e rivolgono un appello alle istituzioni: «Ripristinate i percorsi terapeutici per farci accedere più facilmente a servizi e prestazioni»
Nella stanza in cui ci accolgono Luciana ed Enrico, un bimbo di 4 mesi dorme tranquillo nel suo passeggino. Incastonata nella cornice di un quadro appeso ad una parete accanto a lui, la foto di un altro bambino, un po’ più grande, che sorride divertito. Sono rispettivamente il secondogenito di Luciana ed il figlio di Enrico, colleghi di lavoro entrambi malati di talassemia. Quei due bambini sono l’esempio, concreto e tangibile come pochi altri, dei progressi compiuti negli ultimi anni dalla medicina e dalla scienza per migliorare la vita dei talassemici. Fino a 15 anni fa, infatti, era impensabile che un malato di talassemia potesse avere dei figli. Fino a pochi anni fa, in realtà, era impensabile che un talassemico vivesse tanto a lungo da avere dei figli.
«Quando mi hanno diagnosticato la malattia, a circa due anni – ci ha raccontato Enrico Maccari dell’Associazione Microcitemici e Talassemici del Lazio (AMITAL) –, i medici dissero a mia madre di non affezionarsi troppo a me, perché non sarei arrivato ai 12-13 anni. Adesso, per fortuna, siamo arrivati ai 50».
LEGGI ANCHE: MALATTIE RARE, LA STORIA DI MOIRA: «PER 20 ANNI MI SONO SENTITA UNA X FILE, POI LA DIAGNOSI DI CIDP»
La talassemia è una malattia genetica e degenerativa che in Italia colpisce circa 7mila persone. È caratterizzata da una ridotta o assente sintesi dell’emoglobina, che comporta un difetto di trasporto dell’ossigeno. Al momento non è curabile, ma buone speranze di guarigione, soprattutto per i pazienti più giovani, vengono riposte nelle nuove terapie geniche. La vita di chi ne soffre, sebbene migliorata negli ultimi anni, continua però a non essere semplice: «Da quando ho due mesi e mi hanno diagnosticato la malattia, devo fare trasfusioni di sangue ogni 15-18 giorni – racconta Luciana Motolese -, devo seguire una terapia medicinale salva vita che serve ad eliminare il ferro in eccesso che si accumula per le continue trasfusioni e devo periodicamente controllare che gli organi vitali, come il cuore o il fegato, non subiscano danni».
«È vero che la nostra vita è cambiata – aggiunge Enrico – ma veniamo da una storia molto complessa. Oggi la qualità del sangue è altissima, ma in passato io ho contratto l’epatite B e l’epatite C da trasfusione; mi hanno levato la milza e quindi le mie difese sono molto basse; devo stare particolarmente attento anche per una semplice influenza, perché le cose potrebbero sempre peggiorare. Sono comunque un malato cronico che ha continuamente bisogno di trasfusioni e quindi, ad esempio, non posso fare un viaggio più lungo di 10-15 giorni. Allo stesso tempo cerco però di condurre una vita abbastanza normale. Noi talassemici possiamo e dobbiamo vivere normalmente, ma le istituzioni devono aiutarci».
Ed è proprio alle istituzioni, quindi, che Enrico Maccari rivolge un appello, mettendo in luce le difficoltà riscontrate nell’accesso a servizi e prestazioni dai talassemici che abitano nel Lazio: «In quanto malati cronici abbiamo bisogno di assistenza e dobbiamo andare spesso in ospedale, dove però abbiamo difficoltà ad accedere alle visite e alle analisi di cui abbiamo bisogno, perché dobbiamo seguire lo stesso iter che seguono i cittadini non malati – spiega Enrico -. Fino a qualche tempo fa tutti i controlli venivano eseguiti lo stesso giorno della trasfusione, in modo da passare in ospedale meno tempo possibile. Oggi non è più così, è tutto molto più lento e farraginoso e dobbiamo continuamente assentarci dal lavoro per sottoporci alle visite che servono a salvarci la vita. Per questo chiediamo alle istituzioni di darsi da fare per riprendere quei percorsi terapeutici e di servizi che non abbiamo più».
E poi c’è il problema della carenza del sangue, endemica nelle Regioni in cui la presenza di talassemici è particolarmente alta, a partire dalla Sardegna, ma che è grave anche nel Lazio. «Per avere un tenore di vita abbastanza alto – spiega ancora Enrico –, ogni volta che un talassemico si trasfonde ha bisogno di due sacche di sangue. Quando le banche non ne hanno abbastanza, ce ne viene data una sola, e quindi ci indeboliamo».
«Per noi talassemici – conclude Enrico Maccari – il sangue è tutto. Abbiamo bisogno di sangue di qualità, di globuli rossi giovani e concentrati. Ormai gli standard della donazione sono altissimi, quindi la qualità è molto buona, ma se il sangue manca noi non possiamo condurre una vita normale, che è tutto ciò che chiediamo».
LEGGI ANCHE: MILANO, CARENZA SANGUE. BURIONI: «DONATE IL SANGUE, CON 10 MINUTI SALVERETE 3 VITE»