La storia della giovane illustratrice è un inno alla vita: all’età di 23 anni scopre la malattia rara e da allora lotta per avere un’esistenza normale. La svolta con il trapianto di polmone: «Per me è stata una rinascita»
«Quando ho scoperto la malattia, avevo 23 anni. Ero molto giovane, ma bastava che percorressi 500 metri in piano per entrare in affanno ed essere costretta a fermarmi come se avessi percorso kilometri». È iniziata così per Giulia, oggi 37enne, la lunga convivenza con l’ipertensione arteriosa polmonare, una malattia rara progressiva che colpisce soprattutto le donne tra i 20 e i 40 anni (in Italia si stima che le persone colpite siano 2mila).
Un percorso che ha visto Giulia, illustratrice romana di 37 anni, combattere giorno dopo giorno, metro dopo metro, affrontando anche un trapianto di polmone: convivere con la malattia senza rinunciare al sogno di una vita normale. «Mi venivano le labbra viola, avevo sintomatologie come se avessi una carenza di ossigeno», racconta Giulia a Sanità Informazione. «Il medico di base all’inizio pensò a una bronchite. Dopo alcuni mesi i sintomi si aggravarono. Andai a fare una lastra e mi chiamarono subito. Avevo la parte destra del cuore gonfia il doppio rispetto alla sinistra. Così fui ricoverata all’ospedale Sant’Eugenio di Roma. Restai lì qualche settimana, ma fui fortunata: scoprirono subito la malattia. Ma io so di persone che per anni sono andate avanti senza che gli fosse diagnosticata questa malattia».
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L’ipertensione arteriosa polmonare è una malattia rara, progressiva, caratterizzata da pressione sanguigna pericolosamente alta e resistenza vascolare. Le alterazioni strutturali dei vasi sanguigni creano infatti un’aumentata resistenza al flusso del sangue pompato dal cuore e questo determina un progressivo affaticamento per il ventricolo destro che può culminare nello scompenso cardiaco anche mortale. Più in generale i sintomi sono affanno, vertigini e stanchezza: sintomi vaghi, e infatti uno dei grandi problemi di questa malattia, così come di molte altre malattie rare, è la difficoltà e il ritardo nella diagnosi. Per Giulia comincia allora un lungo via vai con Bologna, dove all’epoca c’era l’unico centro per la cura di questa malattia presso il Policlinico S.Orsola-Malpighi.
Se in un primo momento, grazie ad alcuni medicinali, la malattia sembrava sotto controllo, il destino stava per complicare decisamente le cose. «Purtroppo la malattia è degenerativa – spiega Giulia – così ad un tratto mi aggravai di botto: fui colpita da emorragie ai polmoni. Mi installarono un macchinario collegato direttamente con i polmoni e potei così andare avanti per un po’».
Per Giulia però la svolta arriva con il trapianto: otto anni dopo la diagnosi di ipertensione polmonare Giulia va in sala operatoria per avere dei polmoni nuovi: «Con il trapianto è cominciata un’altra vita: i primi tempi riuscivo ad andare in bicicletta e in palestra. Cose poco pesanti, poco affaticanti. I primi giorni dopo la terapia intensiva ti reinsegnano a sbadigliare, a starnutire, a tossire. È un ricominciare da capo. Alcune persone la prendono a male e pensano: ‘una persona è morta per me’. Per me è stata una rinascita. In modo indiretto sono venuta a sapere che i polmoni li avevo presi da una ragazza. Io l’ho visto come un dono: è un donare una nuova vita da una vita che si sta spegnendo, quindi è come far continuare quella vita».
Giulia così comincia la vita con i polmoni nuovi: tolte le limitazioni del caso (niente montagna oltre i 3mila metri, niente subacquea, evitare botte e contraccolpi), ora ha la possibilità anche di fare moderato fitness, andare a ballare con gli amici o fare un viaggio. «Anche prima le potevo fare – sottolinea – ma con più accortezza: non mi sono mai fermata davanti a nulla.
Quali consigli dare a una persona che scopre oggi di avere l’ipertensione polmonare? «Sono importanti famiglia e amici, bisogna sforzarsi di essere equilibrati. Anche per una persona che ti sta accanto non è facile gestire la situazione: deve riuscire ad avere la lucidità di non essere troppo ansioso ma neanche di sottovalutare la cosa. Per il paziente è importante capire quali sono i limiti che può superare e quali no, sempre seguendo l’indicazione dei medici. Io ho riscontrato l’estrema umanità dei medici: da una parte mi spiegavano la situazione anche se era difficile spiegare una cosa del genere a una ragazza di 24 anni, dall’altra però mi hanno dato sempre la speranza che comunque avremmo risolto. È stato essenziale. Questo ha creato una fiducia reciproca. Bisogna organizzarsi al meglio per seguire la terapia e fare di tutto per non chiudersi, cercare di avere una vita il più possibile equilibrata e prendersi i propri svaghi».