All’aumento dei casi di streptococco e all’attuale carenza di antibiotici in Italia la Società italiana di pediatria (SIP) ha risposto con una guida semplice e pratica per affrontare il batterio. Messa a punto dal Tavolo Tecnico Malattie Infettive e Vaccinazioni della SIP, guidato da Susanna Esposito
All’aumento dei casi di Streptococco e all’attuale carenza di antibiotici in Italia la Società italiana di pediatria (SIP) ha risposto con una guida semplice e pratica per affrontare il batterio. Messa a punto dal Tavolo Tecnico Malattie Infettive e Vaccinazioni della SIP, guidato da Susanna Esposito, ha l’obiettivo di favorire una maggiore adesione alle linee guida nazionali per un uso appropriato degli antibiotici. «Lo scopo di questo documento è fornire ai genitori alcune risposte ai più comuni dubbi in merito allo Streptococco beta emolitico di gruppo A», afferma la presidente SIP Annamaria Staiano. «Il consiglio principale – aggiunge – è quello di rivolgersi sempre al pediatra per evitare un uso inappropriato degli antibiotici e garantire ai bambini i migliori percorsi per la tutela della loro salute sulla base delle evidenze scientifiche».
Lo Streptococco beta emolitico di gruppo A (SBEA) non è sempre responsabile di faringotonsilliti. Quest’ultime sono patologie comuni in età pediatrica, di origine prevalentemente virale. Lo SBEA è responsabile di circa 1 caso su 4 di faringotonsillite e interessa principalmente i bambini in età scolare e gli adolescenti, con una prevalenza che va dal 19% al 30% tra i 5 e i 19 anni. Lo SBEA che causa la faringotonsillite streptococcica è il medesimo che causa la scarlattina; questo si verifica quando lo SBEA produce alcune sostanze dette esotossine.
La faringotonsillite da SBEA presenta un decorso benigno, con risoluzione del quadro entro 3-7 giorni. Tuttavia, in una minoranza di casi, l’infezione streptococcica può associarsi a complicanze conseguenti a un’estensione dell’infezione nei tessuti vicini, come ascessi peritonsillari, parafaringei o retrofaringei, otite media, sinusite, mastoidite. Esistono poi altre complicanze come la malattia reumatica e la glomerulonefrite acuta post-streptococcica.
L’attendibilità del tampone faringeo dipende dall’adeguatezza della raccolta del campione che deve essere prelevato dalla parete posteriore dell’orofaringe e dalla superficie di entrambe le tonsille, da parte di personale sanitario adeguatamente formato. Occorre evitare il contatto con altre zone del cavo orale e con la saliva, anche per questo è essenziale l’uso dell’abbassalingua. Il campione raccolto può essere analizzato mediante test antigenico rapido, esame colturale o test molecolari.
Un esito positivo o negativo al test antigenico rapido è sufficiente per la diagnosi nella maggior parte dei casi, senza necessità di eseguire un esame colturale di conferma, a meno di una forte discordanza con il quadro clinico. Non sono raccomandati esami ematici (tasso antistreptolisinico, proteina C reattiva e conta leucocitaria) per la diagnosi di faringotonsillite da SBEA o di scarlattina; la diagnosi di quest’ultima è clinica in presenza della positività del tampone faringeo per SBEA. L’esecuzione del tampone deve avvenire su indicazione del pediatra curante per evitare diagnosi errate e un utilizzo inappropriato della terapia antibiotica.
Una percentuale di bambini, dal 10 al 25%, che risultano positivi al tampone sono in realtà portatori di SBEA. Lo stato di portatore può perdurare da settimane a mesi, ma è associato a un rischio minimo di complicanze e a basso rischio di trasmissione. Non è raccomandato il trattamento antibiotico nei soggetti portatori di SBEA. I test rapidi e gli altri esami microbiologici non sono in grado di distinguere un soggetto affetto da faringotonsillite da SBEA da un portatore di SBEA che ha una faringite intercorrente causata da altro agente infettivo. Per questo motivo, in assenza di sintomi acuti, o alla fine della terapia antibiotica, non deve essere eseguito il test rapido per l’identificazione della presenza di SBEA nella faringe.
Nei pazienti in età pediatrica affetti da faringotonsillite da SBEA o da scarlattina è raccomandata la terapia antibiotica per la rapida riduzione dei intomi e per evitare il rischio di complicanze. Se la faringotonsillite non è da SBEA la terapia antibiotica non è raccomandata. L’antibiotico raccomandato di prima scelta è l’amoxicillina. In assenza di altre indicazioni (recidive, fallimento terapeutico) o in assenza di controindicazioni all’amoxicillina, non è raccomandata la terapia antibiotica con amoxicillina-acido clavulanico, cefalosporine o macrolidi.
In caso di allergia, sospetta o confermata, si può optare per i macrolidi (in particolare, azitromicina alla dose di 20 mg/kg/die per 3 giorni in mono-somministrazione giornaliera per superare la resistenza di SBEA ai macrolidi). Le cefalosporine di 2° e 3° generazione non dovrebbero essere raccomandate.
Allo stato attuale, sulla base delle evidenze disponibili in letteratura non è possibile stabilire una raccomandazione in merito alla terapia antibiotica delle faringotonsilliti ricorrenti da SBEA dopo trattamento con amoxicillina. Solo nei casi in cui è programmata la tonsillectomia potrebbe essere tentata, in alternativa, la terapia con amoxicillina-acido clavulanico o con clindamicina.
La ripresa scolastica in caso di faringotonsillite streptococcica o scarlattina può avvenire a distanza di almeno 24 ore dall’inizio della terapia antibiotica e non richiede né il certificato medico né la documentazione del tampone negativo. Tra le principali misure di prevenzione della trasmissione e diffusione delle infezioni da SBEA rientrano un’adeguata igiene delle mani, una congrua areazione degli ambienti interni e l’eliminazione di possibili comportamenti promiscui (ad esempio, condividere utensili, bicchieri e oggetti personali, ecc.).
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