Il progetto del Centro Vittorio Di Capua è stato realizzato grazie alla collaborazione tra dipartimento di Neuropsichiatria infantile e Psicologia clinica. Quattro incontri per recuperare energie con l’aiuto del cavallo
L’ippoterapia per aiutare medici ed operatori sanitari impegnati nella dura battaglia contro il Coronavirus. Il progetto, realizzato dal centro Vittorio Di Capua, è un servizio ospedaliero della struttura complessa di Neuropsichiatria dell’ospedale Niguarda di Milano, promosso dal dipartimento materno infantile, diretto dal dottor De Giacomo, e dalla Psicologia clinica, diretta dal dottor Umberto Mazza, che abbiamo raggiunto via Skype.
«Credo che non sia retorico dire che non avremmo mai immaginato qualcosa di così agghiacciante come quello che abbiamo vissuto negli ultimi due mesi – sottolinea il dottor Mazza -. In questa situazione generale affrontare la cura delle persone, la cura per la relazione delle persone e dei famigliari e la cura e la relazione di noi stessi non è stato facile. L’iniziativa che abbiamo avviato qui al Niguarda grazie ai colleghi del centro Vittorio di Capua credo vada in questa direzione».
Tra l’uomo e il cavallo si crea un feeling che cura la psiche, stimola il senso di autostima e di serenità grazie allo sviluppo degli ormoni del benessere. In un momento di stress psicofisico per medici e infermieri, la mediazione del cavallo è molto utile, come conferma la dottoressa Michela Riceputi, coordinatrice del progetto: «L’idea è di offrire a questi operatori uno spazio e un tempo per se stessi, per ricaricare le proprie energie e per potersi ritrovare, rilassare, riprendere dalle fatiche dei grandi turni di lavoro, in compagnia di un cavallo. Quindi coloro che si presentano e sono interessati al progetto devono sapere che non devono fare nulla, ma solo stare».
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«Ciò che è importante per noi – continua la dottoressa Riceputi – è lasciare che scelgano un cavallo per affinità o per diversità e poi le proposte si declinano in base a come si sente l’operatore. C’è chi ha paura del cavallo, ma non per questo ha creato un limite, anzi: con questa persona abbiamo passato del tempo seduti ad osservare il cavallo che pascolava. Abbiamo avuto dei rimandi importanti dagli operatori che ci dicono “il tempo è volato”, o ancora “non sembra di stare in ospedale”. Noi cerchiamo di offrire degli interventi che si collocano o prima di un turno lavorativo o alla fine, quindi la persona può scegliere a seconda di come si sente. L’intervento può essere individuale o in piccoli gruppi, massimo tre, o ancora c’è la possibilità di fare un’esperienza che noi chiamiamo di vissuto sul cavallo perché non è la classica esperienza di equitazione, ma è un’esperienza sul cavallo senza sella, quindi focalizzata su un aspetto più percettivo per cogliere il movimento ondulatorio del cavallo e accarezzarne il pelo. Questa è un’esperienza che va a completare il percorso di chi fa le quattro sedute e dà la percezione di aver instaurato un legame forte con l’animale che al termine del percorso lo riconosce, proprio grazie ad aver fatto esperienze diverse, ma complete».
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