Il caso della dimissionaria premier neozelandese Jacinda Ardern. Lo psicologo: «Esempio di antifragilità contrapposto alla resilienza. Un precedente che dovrebbe far scuola».
Una donna, giovane e carismatica, alla guida del suo Paese da cinque anni, improvvisamente decide di lasciare il suo incarico perché “esausta”. Parliamo di Jacinda Ardern, quarantaduenne premier della nuova Zelanda, la cui decisione di dimettersi, comunicata pochi giorni fa in una intensa conferenza stampa, ha suscitato interesse e scosso le coscienze. Le responsabilità e il peso di una nazione intera sulle spalle possono generare fenomeni di burn out nonostante il successo e la popolarità? In altre parole, non sarà che il potere logora (almeno psicologicamente) proprio chi ce l’ha? Ne abbiamo parlato con lo psicologo Giuliano Caggiano, del Gruppo di Psicologia del Lavoro presso l’Ordine degli Psicologi del Lazio.
«Il caso della premier neozelandese va contestualizzato sulla base di diversi parametri – spiega Caggiano – di cui il primo, molto impattante, riguarda proprio la personalità e la vision di Jacinda Ardern. Una donna e una leader con caratteristiche molto particolari, che ha fatto della “forza e gentilezza” oltre che un motto, anche un tratto distintivo del suo mandato, contraddistinto da una leadership profondamente empatica e al tempo stesso autorevole. Questo le ha permesso di guidare con successo il suo Paese durante anni molto difficili: dalla pandemia, alla disastrosa eruzione vulcanica di White Island a dicembre 2019, passando per la strage dell’attentato alla moschea di Christchurch nello stesso anno. Ma ridurre la causa delle sue dimissioni ad una sorta di esaurimento nervoso o di burn out sarebbe fuorviante. Vediamo perché».
«Un primo elemento di cui tener conto – prosegue Caggiano – è il parallelismo con il fenomeno della great resignation del 2022, che ha visto oltre un milione e mezzo di persone in Italia licenziarsi dal proprio posto di lavoro, con ragioni multifattoriali. Il 40% di queste persone non aveva nessun altra offerta di lavoro in ballo, ma è scattata in loro o un’esigenza di crescita, professionale e personale, oppure motivazioini più profonde, che sottendono quel contesto di YOLO economy (dove YOLO sta per You Only Live Once “si vive una sola volta”) in cui la priorità non è il lavoro, ma la vita privata, la famiglia, il benessere. Non dimentichiamo che la Ardern è stata la prima donna premier ad avere un figlio durante il suo mandato».
«Un altro fattore importante – continua lo psicologo – è rappresentato dall’elemento di valore di questa scelta: il senso di responsabilità. Non si tratta di burn out, di un “gettare la spugna”, ma di una ammissione dei propri limiti, e quindi di impossibilità di ricoprire un ruolo in un determinato momento della sua vita. Una lezione che dovrebbe essere da esempio, nonostante a noi sembri impossibile che una persona di successo molli tutto senza che qualcuno o qualcosa lo costringa a farlo. Ma il potere non è tutto, e il successo non è sempre, o per tutti, una priorità o qualcosa per cui valga la pena rinunciare a una parte di sé stessi».
«Si tratta di un caso molto esemplificativo della differenza tra resilienza e antifragilità: se lei fosse rimasta al suo posto – osserva Caggiano – la avremmo potuta definire una persona resiliente, cioè che resiste agli urti e reagisce con forza e determinazione, come l’araba fenice, laddove per resilienza si intende quella risorsa personale che tende alla conservazione di sé. La persona antifragile, invece, non ha solo la capacità di resistere, ma di crescere, migliorare e rinascere, di trasformare la difficoltà in un elemento propulsore di cambiamento e miglioramento, laddove in psicologia, appunto, l’antifragilità è quella risorsa personale che tende all’evoluzione di sé. La scelta della Ardern – conclude lo specialista dell’Ordine – crea un precedente importante, che dovrebbe far scuola».
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