L’allarme lanciato dal primario UOC Neuroradiologia del Cardarelli di Napoli, Mario Muto: «Zone ad alta densità di popolazione sguarnite. Fondamentale investire sulla formazione specialistica per incrementare personale»
Una presa in carico “a macchia di leopardo” è quella che caratterizza in Italia molti fenomeni di natura sanitaria. Tra questi, non fanno eccezione le patologie tempo-dipendenti, in particolare lo stroke ischemico, altrimenti detto ictus. La gestione dello stroke ischemico richiede, tra le altre cose, una buona capillarità a livello di strutture sul territorio, così da poter intervenire nel minor tempo possibile senza costringere i pazienti a spostamenti lunghi che sarebbero pericolosi proprio in virtù delle caratteristiche tempo-dipendenti di questa patologia.
Il caso della Campania è emblematico. Ad aree metropolitane in grado di garantire una presa in carico rapida ed efficace si contrappongono vasti territori sguarniti seppur densamente popolati. A far risuonare questo campanello d’allarme sulla rete tempo-dipendente dello stroke ischemico in Campania è il dottor Mario Muto, direttore dell’Unità Operativa Complessa di Neuroradiologia dell’Ospedale Cardarelli di Napoli, all’indomani di un importante riconoscimento: la Honorary Membership della Società Americana di Neuroradiologia (ASNR), la più importante a livello internazionale con 6mila iscritti.
Muto, che è il secondo italiano in 59 anni a ricevere questo riconoscimento, ha spiegato la situazione delle reti tempo-dipendenti ai nostri microfoni: «Se per la rete IMA (Rete dell’Infarto Miocardico Acuto) la situazione è molto omogenea con performance soddisfacenti – spiega – per quel che riguarda lo stroke ischemico ci sono realtà che hanno sicuramente bisogno di maggiori risorse umane e organizzative. Da un lato abbiamo i grandi hub che funzionano con numeri importanti, che sono il Cardarelli di Napoli, il Ruggi D’Aragona a Salerno e, da qualche mese, anche l’Ospedale del Mare di Napoli; dall’altro ci preoccupano altre realtà territoriali che non sempre riescono a garantire trattamenti e tempistiche soddisfacenti».
La legge impone la presenza di un centro per la presa in carico dello stroke ischemico per ogni milione di abitanti. In Campania ci sono 7 centri a fronte di una popolazione di circa sei milioni di abitanti, quindi una dotazione leggermente al di sopra del fabbisogno stimato. Il problema, però, è la distribuzione geografica di questi centri sul territorio.
Così, se il Cardarelli ha trattato nel 2020 ben 330 stroke ischemici, dei quali 206 con trombectomia meccanica (per la quale è il secondo centro a livello nazionale), persistono aree territoriali nelle quali uno stroke ischemico importante potrebbe non essere trattato nei tempi giusti per la mancanza di risorse umane o tecnologiche, in particolare le risonanze magnetiche. «A risentire maggiormente di queste criticità – osserva Muto – sono la città di Caserta e la zona del basso Cilento, un’area molto vasta del salernitano, che durante i mesi estivi vede i propri abitanti moltiplicarsi».
Ad aggravare la situazione ci si è messo anche il Covid, che per forza di cose sta avendo un forte impatto sulla gestione di queste patologie. «In tutta Italia c’è stato un calo vertiginoso, soprattutto durante i primi mesi di pandemia, degli accessi in ospedale per patologie tempo-dipendenti – spiega Muto – quali appunto infarti acuti del miocardio e stroke ischemici, con effetti evidentemente drammatici. Ciò detto, la Regione sta facendo moltissimo e negli anni sono stati fatti grandi sforzi in sanità, ma nei prossimi anni – aggiunge – sarà essenziale riuscire a colmare le lacune, possibilmente pianificando interventi mirati, idonei ad omogeneizzare il territorio nel settore delle reti tempo-dipendenti, anche per quanto riguarda il reclutamento del personale».
«É evidente che la turnazione h24 imposta da questo tipo di rete tempo-dipendente comporta un fabbisogno di risorse umane che attualmente, sebbene la situazione sia in miglioramento, non viene ancora del tutto soddisfatto. C’è assolutamente bisogno di investire maggiormente nella formazione specialistica della Neuroradiologia interventistica – conclude lo specialista – così da avere più risorse da impiegare sul territorio. Il fatto di avere quest’anno un numero maggiore di specializzandi è sicuramente un importante punto a favore».
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