I contagi tra gli operatori sanitari si sono più che dimezzati in meno di un mese. Il vaccino Pfizer rende immuni e la campagna sta funzionando. In ospedale vicini alla totalità dei vaccinati. In un’indagine Fadoi le motivazioni dei professionisti: il 65% si è vaccinato per i propri pazienti
Sono stati la prima categoria indicata per il vaccino anti-Covid e saranno la prima a completare il ciclo di immunizzazione. I medici e il personale sanitario dopo due mesi di somministrazioni di massa mostrano i risultati della campagna vaccinale. L’80% dei 1,4 milioni di operatori hanno ricevuto almeno una dose, percentuale che si alza al 90-95% per chi lavora tra le mura degli ospedali.
Secondo i risultati esposti dalla Fondazione Gimbe, due settimane fa i contagi tra i professionisti sanitari erano scesi del 64,2% rispetto al mese precedente, passando da quasi 5mila casi in sette giorni a meno di 1.500 e in continuo abbassamento. Un primo successo per l’Italia che respira di fronte alla speranza di una prossima protezione totale delle sue risorse più importanti contro la pandemia.
Alla vaccinazione medici e infermieri hanno risposto con entusiasmo: oltre il 90% dei consensi per entrambe le categorie secondo i dati Fnomceo e Fnopi. Secondo un’indagine Fadoi (Federazione dei medici internisti ospedalieri), fatta su 1.022 operatori sanitari in vari ruoli, tutti l’hanno fatto consapevolmente. Nel 78,8% dei casi si sono informati su articoli scientifici, nel 22,7% hanno seguito webinar dedicati. Il 51,4% si è affidato alle opinioni di colleghi esperti, mentre il 20,3% a fonti media e social.
Il 23% di chi ancora non ha fatto il vaccino imputa l’evento a difficoltà organizzative dell’azienda, mentre la stragrande maggioranza (32%) ha scelto “altre risposte”. Le più comuni: una recente guarigione da Covid, lo stato di gravidanza o allattamento, l’attesa di una convocazione. Solo nel 9% dei casi si è trattato di una scelta personale.
Se si pensa che il 20% degli intervistati Fadoi aveva riportato di aver già contratto Covid si genere un’idea chiara del rischio a cui la categoria è esposta. Il 73% ha dichiarato di aver avuto sintomi che non hanno però richiesto il ricorso al ricovero, necessario invece per il 7% dei casi.
Chi si è sottoposto alla vaccinazione ha dato motivazioni facilmente immaginabili da parte di chi ogni giorno si dedica alla cura degli altri. Nel 77,2% lo ha per proteggere i propri cari e nel 72,7% sé stesso e la sua attività. Mentre rispettivamente nel 65% e nel 57,6% dei casi la scelta è stata dovuta a una volontà di protezione dei propri pazienti o a quella di favorire un più rapido ritorno alla normalità per tutti.
Il vaccino prestabilito, in questo caso, è quasi sempre Pfizer. Il prodotto americano veniva già da test clinici piuttosto promettenti, ma i dati più recenti ne hanno ulteriormente confermato gli ottimi risultati. La barriera anticorpale, scrive Fadoi, si alza nel 100% dei casi. Così confermano anche i test sierologici effettuati dal 12% degli operatori sanitari. Ferma al 37% la percentuale di persone che hanno rilevato effetti collaterali. Nella maggior parte dei casi si trattava di dolore al sito dell’iniezione, nel 10% di malessere generale e dolori muscolari. Per pochissimi febbre e tachicardia.
Il presidente della Fnomceo, Filippo Anelli, ha espresso a Sanità Informazione estrema soddisfazione per questi primi risultati. «Finalmente guardiamo con un po’ di fiducia al prossimo futuro – ha detto – perché il vaccino ha ridotto il numero dei contagi tra gli operatori sanitari. Come avevamo previsto si è rivelato il miglior dispositivo per preservarli dalla malattia».
Il presidente ha approfittato anche per ricordare che alcuni operatori sanitari sono rimasti indietro nella vaccinazione: primi tra tutti i libero professionisti. «Proprio per questo – ha aggiunto – dovrebbe essere assicurato a tutti gli operatori sanitari: tanti ancora non lo hanno ricevuto. Ricordo che al primo posto tra le priorità stabilite dal piano vaccinale nazionale è quella di vaccinare tutti gli operatori della salute e credo che questo obiettivo vada perseguito sempre e comunque».
Quel che rimane per ora sepolto, e che si rivelerà un problema di certo in seguito, è la condizione psicologica dei professionisti della sanità. Ciò che hanno visto e i tanti decessi di cui molti sono stati testimoni hanno avuto un influsso fortemente negativo sulla loro psiche. Il 58% teme anche solo di uscire di casa, il 55,9% teme per il futuro e il 45,5% si sente isolato e impossibilitato a spiegare la propria sensazione.
Queste sensazioni prolungate troppo a lungo e per tanto tempo ignorate a causa di problemi più gravi portano però a problematiche che possono rivelarsi pericolose per il proprio lavoro. Il 49,3% accusa irritabilità e ansia, il 19% difficoltà di concentrazione e il 12,5% difficoltà di memorizzazione.
«Preoccupano – ha dichiarato Dario Manfellotto, presidente Fadoi – i segnali di stress al quale è stato sottoposto in questi mesi di lotta al virus il personale sanitario, spesso costretto a lavorare in situazioni difficili per carenze d’organico e turni di lavoro massacranti. Per questo riteniamo quanto mai urgente che si avvii un piano di assunzioni nel comparto sanitario utilizzando le risorse del Recovery Plan, che prevede espressamente il rafforzamento dei reparti di medicina interna».
Iscriviti alla Newsletter di Sanità Informazione per rimanere sempre aggiornato