Il presidente del Comitato Nazionale per la Bioetica soddisfatto della decisione della Consulta: «Bene che abbia dato indicazioni precise, anche per una futura normativa che vada ad integrare e a migliorare quanto previsto»
“Non è punibile”, a “determinate condizioni”, chi “agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli”. Lo ha sancito la Corte Costituzionale, chiamata a pronunciandosi sul processo a Marco Cappato, incriminato dopo aver aiutato DJ Fabo a recarsi in Svizzera per porre fine alla propria vita. Nello specifico la Consulta ha dovuto decidere sulla legittimità dell’articolo 580 del codice penale, riguardante l’istigazione o aiuto al suicidio.
La comunicazione della sentenza della Corte Costituzionale ha riacceso il dibattito sul fine vita, dividendo l’opinione pubblica tra favorevoli e contrari. Abbiamo raggiunto telefonicamente il presidente del Comitato Nazionale per la Bioetica, Lorenzo D’Avack. «Il mio intervento è a titolo personale, – tiene a precisare il presidente del Comitato Bioetico – non posso esprimermi a nome del Comitato Nazionale che ha un’opinione pluralista».
Presidente, consa ne pensa della decisione espressa dalla Corte Costituzionale sul suicidio assistito?
«Sono contento che la Consulta abbia deciso, perché devo dire che temevo potesse rinviare, giustificando questo rinvio con il fatto che il precedente governo era caduto e quindi avevamo un nuovo governo con la possibilità che fosse il Parlamento in futuro a legiferare, com’era stato auspicato nell’ambito dell’ordinanza della Corte Costituzionale. Invece sono contento che la Corte Costituzionale ha dato indicazioni precise, anche per quella che potrebbe essere domani una futura normativa che vada ad integrare e a migliorare quanto previsto e detto dalla Corte Costituzionale. Ritengo che queste vicende, soprattutto queste vicende così sensibili che riguardano il fine vita, così come l’inizio vita, devono trovare nel nostro Paese una regolamentazione giuridica e non possono rimanere oscure, così come sono rimaste oscure nell’arco di questo periodo».
«Personalmente le posso dire che io sono favorevole all’idea che si possa immaginare una depenalizzazione della legge n.580 a fronte di determinate situazioni particolarmente drammatiche, con dei limiti ben precisi che devono essere assicurati. La Corte Costituzionale ne ha indicati alcuni e io non posso che condividerli tutti. Nel complesso, questa sentenza della Corte Costituzionale non fa che ripetere grosso modo quelle indicazioni che già aveva acquisito in passato, nell’ordinanza di undici mesi prima».
Non è di fatto una liberalizzazione tout court del suicidio assistito?
«No. Così come a mio modo di vedere bisogno sempre tenere presente la differenza che intercorre tra l’aiuto al suicidio medicalizzato/non medicalizzato e l’eutanasia. Sono differenti, anche se presentano alcuni aspetti anche molto vicini tra loro. La linea di divisione è una linea sottile, però di fatto sono due cose diverse. Nell’aiuto al suicidio è il paziente che prende la pozione fatale, anche se questa viene preparata da una terza persona, nell’eutanasia invece la somministrazione del prodotto letale viene effettuata da un terzo. È evidente che nel primo caso si parli di suicidio e quindi della legge n. 580, mentre nel secondo caso si parlerebbe di omicidio e quindi della legge n.579 cioè “omicidio del consenziente”».
Adesso si aprirà un’altra questione che è quella dell’obiezione di coscienza per i medici…
«Io credo che la cosa non sia così drammatica come la si potrebbe pensare. Nel comunicato stampa della Consulta non si parla di obiezione di coscienza, ma sono convinto che la Corte l’abbia prevista, perché questo era anche scritto nell’ordinanza precedente. Il nostro Paese già vive in determinate situazioni con l’obiezione di coscienza, penso ovviamente all’aborto, penso alla procreazione medicalmente assistita, penso ancora alla sperimentazione. In tutti questi casi è prevista la possibilità dell’obiezione di coscienza. Quindi è sicuro che anche in questo caso ci sarà la possibilità da parte dei medici di essere obiettori. L’importante è che ci siano delle strutture sanitarie che siano in grado di far fronte a quelle che possono essere le esigenze di un paziente che chiede l’aiuto al suicidio, ricorrendone i ovviamente i presupposti».
In definitiva, manca l’azione del legislatore…
«La Corte Costituzionale, pur facendo una sentenza, lascia ancora aperti molti spazi, ma soprattutto è una sentenza che si richiama fortemente per la sua regolamentazione in questa fase intermedia alla legge n.219/2017 che è quella che riguarda il consenso informato e le dichiarazioni anticipate di trattamento. Posso aggiungere che l’utilizzo di questa normativa non è così facile nei confronti di una vicenda che se andiamo a vedere è completamente diversa. Nel senso che, la legge riguarda il paziente che non ha limiti nel rifiutare il trattamento sanitario. Rifiuta il trattamento anche se è un trattamento sanitario salvavita, l’importante è che ovviamente sia informato e chiaramente consenziente. Questo è un limite in comune tra la vicenda di DJ Fabo e la legge. In questo caso il medico è obbligato a interrompere il trattamento e ad aiutarlo in un percorso di morte naturale che implicherà sicuramente le cure palliative e che potrà anche implicare la sedazione profonda. È proprio da qui che la Corte Costituzionale si è mossa, perché ha detto che se c’è una legge che consente di poter arrivare fino alla sedazione profonda, allora se c’è una persona che questo percorso di morte rifiuta di farlo e pur stando in determinate condizioni, preferisca essere pienamente consapevole della propria morte».