«L’enzima che il virus sfrutta per entrare nelle cellule è più espresso nell’uomo. La donna è naturalmente più forte nei confronti delle infezioni. Un’altra differenza, negli ormoni sessuali: il testosterone è generalmente un immunosoppressore, mentre gli estrogeni tendono a essere immunostimolanti». Lo studio della Società Italiana di Farmacologia
Secondo gli ultimi dati dell’Istituto superiore di sanità, il 55,4% dei pazienti italiani positivi al Covid-19 è di sesso maschile. Una maggioranza che è sempre stata confermata dalle analisi fatte, e diverse sono state le spiegazioni date al fenomeno. Le professoresse Marina Ziche e Amelia Filippelli dell’Unità di crisi della Società italiana di farmacologia su SARS-CoV-2 mettono in evidenza le ragioni scientifiche alla base delle differenze del rischio di infezione e della gravità della patologia tra maschi e femmine.
«Se l’epidemiologia suggeriva questa tendenza – spiega la Sif in una nota -, adesso abbiamo dati per confermarlo: l’enzima che il virus sfrutta per entrare nelle cellule è più espresso nell’uomo. Inoltre, le donne, forse per ragioni evolutive, sono naturalmente più forti nei confronti delle infezioni. E non dimentichiamo che la donna ha due cromosomi X, uno in più rispetto all’uomo, e molti dei geni legati all’immunità, si trovano proprio sui cromosomi X, fornendole il doppio di queste risorse. Infine, gli ormoni sessuali: il testosterone, ormone sessuale maschile, è generalmente un immunosoppressore, mentre gli estrogeni, importanti ormoni regolatori sessuali femminili, tendono a essere immunostimolanti».
«Quindi non c’è dubbio che ci sia una questione di genere in COVID-19 che non deve essere disattesa nell’affrontare questa pandemia. Ma i dati sul Bollettino Epidemiologico Nazionale dell’ISS – prosegue la Sif – documentano che anche per la “normale” influenza del 2018-2019, i casi gravi, con quadri clinici analoghi a COVID-19 e ricoveri in rianimazione, nel 63% dei casi colpiscono gli uomini sopra i 65 anni. L’analisi ha mostrato che gli uomini avevano un tasso di mortalità significativamente più alto, e manifestavano una sintomatologia peggiore, indipendentemente da età, sintomi e comorbilità, rispetto alle donne. Quindi gli uomini, soprattutto se anziani, sono più vulnerabili delle donne alle infezioni virali e alle loro evoluzioni negative».
«Il SARS-CoV-2 (Covid-19) entra nelle cellule bersaglio utilizzando l’enzima di conversione dell’angiotensina II (ACE2), localizzato sull’endotelio dei capillari polmonari da dove svolge un ruolo fondamentale nella regolazione della pressione arteriosa. ACE2 è più espresso negli uomini rispetto alle donne. Non si esclude che questa significativa differenza, mantenuta tra popolazioni di diversi Paesi, possa essere legata anche a diverse abitudini e stili comportamentali come il fumo. In Cina, per esempio, la prevalenza di maschi fumatori supera il 50% mentre quella delle donne è inferiore al 3% della popolazione».
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«Non va sottovalutato – continua – che femmine e maschi differiscono nella risposta immunitaria. Anche se i maschi e le femmine hanno gli stessi elementi cellulari del sistema immunitario, le femmine sviluppano maggiori risposte immunitarie verso patogeni, compresi i virus, quindi sono meno suscettibili a contrarre infezioni da microrganismi. Il sistema endocrino, ed in particolare gli ormoni sessuali, possono modificare sia il numero che la “qualità” delle cellule immunitarie, modificandone la risposta ai patogeni».
«Gli ormoni sessuali agiscono come importanti modulatori delle risposte immunitarie. Si tenga conto per esempio che il testosterone, l’ormone sessuale maschile, è generalmente un immunosoppressore, mentre gli estrogeni, importanti ormoni regolatori sessuali femminili, tendono a essere immunostimolanti. Studi pubblicati nel 2016 hanno documentato che gli estrogeni forniscono effetti protettivi in modelli animali infettati da ceppi di SARS-CoV, lo stesso ceppo di virus da cui è emerso il coronavirus responsabile di COVID-19. L’analisi della risposta immunitaria ci indica che gli individui di sesso femminile sviluppano risposte immunitarie, verso gli antigeni virali, più intense e più elevate rispetto al sesso maschile e questa caratteristica può determinare anche una risposta vaccinale diversa tra i generi».
«Maschi e femmine – sostiene la Sif – hanno chiare differenze nei cromosomi sessuali. Sul cromosoma X sono stati mappati circa 1000 geni, verso i soli 100 del cromosoma Y. Molti dei geni del cromosoma X sono correlati all’immunità e codificano per proteine coinvolte nella risposta immunitaria fornendo alle femmine, che hanno 2 cromosomi X, il doppio di queste risorse. La finalità biologica di questo maggiore armamentario di difesa immunitaria delle donne è da imputare alla necessità di garantire una protezione della specie, ma comporta, come effetto negativo, che le donne sviluppano un maggior numero di malattie autoimmuni».
«In generale, appare necessario che ci sia una integrazione delle attuali misure intraprese per il controllo e il trattamento delle infezioni da Covid-19 con un’analisi di genere. Questo permetterà di migliorare l’efficacia degli interventi sanitari e promuovere obiettivi di equità di genere e di salute. Maschi e femmine differiscono anche nella risposta ai farmaci e le donne hanno un rischio maggiore di 1,5-1,7 volte di manifestare reazioni avverse. Nel campo delle terapie antivirali un esempio è quello di alcuni farmaci anti-HIV come la nevirapina (reazioni cutanee nelle donne) e gli inibitori delle proteasi (disturbi metabolici nelle donne)».
«Nonostante le differenze culturali, sociali ed epidemiologiche tra la Cina e l’Italia – conclude la Sif – e sebbene in presenza di diverse strategie di contenimento dell’infezione, i dati ci confermano che questo ceppo di coronavirus predilige i maschi e specifiche fasce di età, manifestando una chiara indicazione di genere che merita grande attenzione mentre si stanno sperimentando farmaci e vaccini».
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