La Presidente della sezione Lombardia della Società Italiana di Pediatria (Sip), che dalla sua ha un’esperienza relativa ai tamponi naso-faringei ultra trentennale, garantisce: «Almeno per quanto riguarda la mia esperienza, non è mai successo niente»
Il tampone è rischioso per i bambini piccoli? È una domanda che circola online e nei gruppi WhatsApp di mamme preoccupate. Il problema non è di secondo piano in quanto, con l’apertura delle scuole, il numero di bambini con sintomi riconducibili al Covid-19 e che dunque hanno bisogno del tampone è aumentato vertiginosamente. Abbiamo chiesto un’opinione in merito a Paola Marchisio, Presidente della sezione Lombardia della Società Italiana di Pediatria (Sip), che dalla sua ha un’esperienza relativa ai tamponi naso-faringei ultra trentennale e che garantisce: «Almeno per quanto riguarda la mia esperienza, non è mai successo niente».
«Qualunque procedura – spiega –, più o meno invasiva, deve essere effettuata con competenza, soprattutto quando abbiamo a che fare con bambini nei primi mesi o anni di vita. La questione è tutta qui: ci sono cose che non può fare il primo che passa ma solo un professionista correttamente formato, che conosce la procedura e che è stato addestrato a farla». Non sarebbe dunque tanto un problema di rischi intrinseci nello strumento utilizzato per effettuare il test, seppur invasivo, ma una questione di competenze.
Nel caso specifico del tampone, dunque, «non è, di per sé, una procedura complicata, ma è ovvio che il bambino va tenuto fermo, non deve dimenarsi. Esiste tutta una letteratura su come tener fermo un bambino senza procurargli fastidi, in modo tale che la procedura sia il più veloce e indolore possibile. Se la persona che effettua il tampone è correttamente formata e sa fare il suo lavoro, il bambino non sente niente».
A dimostrazione di ciò, la Presidente Marchisio cita il caso degli Stati Uniti: «Solo sette giorni fa gli Usa avevano diagnosticato con tampone quasi 800mila casi pediatrici. Ci fossero state delle evidenze importanti di difficoltà ad eseguire la procedura, se ne sarebbe parlato a livello mondiale sugli organi di stampa più importanti. Invece nulla. Ora, è un esame fastidioso? Certo. È anche vero che non si può spiegare al lattante di tre o quattro mesi cosa si sta andando a fare, ma è possibile farlo con un bambino di quattro anni o con i genitori. Altra capacità importante che deve avere il professionista è dunque quella di riuscire a comunicare bene quel che si sta per fare».
Il tampone, d’altra parte, è fatto di «un materiale abbastanza flessibile che segue la forma del naso. Nei bambini molto piccoli, sotto l’anno di vita, si effettua l’aspirato naso-faringeo, ovvero un tubicino di plastica con un aspiratore che risucchia le secrezioni».
Ma non esiste un metodo alternativo per scovare casi di Covid-19, magari che vada a cercare il virus nella saliva? «Esiste – spiega Marchisio –, ma è una procedura altrettanto fastidiosa e invasiva (bisogna raschiare nella gola del paziente) ed è meno accurata nei risultati, in quanto ha minore capacità di identificare un positivo perché riesce a trovare una quantità di virus minore rispetto al naso-faringeo. Quando avremo i test salivari sarà tutto un altro discorso».
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