Nella due giorni di Varese Uneba, Fondazione Molina e Fondazione Don Gnocchi hanno portato all’attenzione degli enti e delle istituzioni le nuove strategie per prendersi cura del paziente affetto da Alzheimer e lanciato un appello affinché il Governo riveda l’impegno economico verso le RSA e vengano incrementati i posti di specializzazione per medici e infermieri
Di quali cure e di quali servizi hanno bisogno i malati di Alzheimer post Pandemia? A domandarselo sono i professionisti del terzo settore che si sono dati appuntamento a Villa Cagnola Gazzada, Varese, il 14 e il 15 giugno nella due giorni organizzata da Uneba, Fondazione Molina e Fondazione Don Gnocchi per comprendere lo stato dell’arte e quali sono le novità per il futuro.
«I malati di Alzheimer o di demenza senile non possono essere curati a casa perché necessitano di un’assistenza h24 per 365 giorni all’anno, è indispensabile quindi incrementare il numero di RSA con nuclei dedicati – spiega Franco Massi, Presidente di Uneba – per questo chiediamo un intervento al Governo affinché venga rivisto l’impegno economico verso le RSA, oggi dimenticate nel PNRR». Sotto la lente di ingrandimento degli enti sono le tariffe, rimaste ferme alle quote pre-pandemia, e i costi strutturali e del personale che invece sono in vertiginoso aumento.
Franco Massi ha evidenziato quanto la carenza di personale sia penalizzante e ha lanciato un appello a Governo e Regioni affinché vengano incrementati i posti di specializzazione. «Medici e infermieri mancano, ci vorranno anni per uscire da questa emergenza, mentre le attuazioni del PNRR come le case di comunità e gli infermieri di quartiere non fanno che portare via risorse alle strutture residenziali per anziani e disabili. È necessario un impegno forte quindi verso la formazione, perché le terapie e le cure dedicate ai malati di Alzheimer possono rallentare la decadenza e il ruolo del personale è fondamentale». Tante le idee e i progetti all’analisi della categoria, che ha evidenziato nella tecnologia e in un design innovativo delle residenze due preziosi alleati. «Stiamo vagliando le novità che propone il settore e devo dire che grazie alla tecnologia si possono avere dei grossi miglioramenti nelle relazioni – ammette Virginio Marchesi, Uneba Milano – se si sposta l’attenzione dal controllo alla comprensione è possibile migliorare la qualità della vita dei malati e dei caregiver».
«Per farlo è indispensabile ridurre i meccanismi di contenzione e rendere le persone più libere in un ambiente simile a quello domestico, anche se di cura, piuttosto che asettico e neutro – aggiunge Marchesi –. Questo è possibile in vari modi, ad esempio con sensori per il tracciamento di ultima generazione che, pur nel rispetto della privacy, permettono al caregiver o all’operatore di effettuare un controllo da remoto che da un lato garantisce al malato un senso di autonomia, e dall’altra permette di avere monitorato ogni spostamento. I sensori possono essere braccialetti, oppure tecnologie anche più avanzate come microchip per le scarpe. Da esperienze già fatte sembrano funzionare non solo nelle strutture, ma anche a domicilio, in accordo con i famigliari. Questo elemento sottolinea ancora di più la necessità di un lavoro corale».
Il secondo ambito di intervento per una migliore risposta delle cure riguarda le strutture. In un’ottica di riscoperta del passato, sono cambiate e in molti casi sono diventate delle piccole città, o borghi antichi dove i corridoi asettici hanno lasciato il posto a vie arricchite di panchine, aiuole e sulle porte delle camere c’è la cassetta della posta che riporta alla mente del malato la sua casa.
«Riprodurre l’idea di un paese con giardini e cortili per ripercorrere la storia e il vissuto, ricostruire gli ambienti perduti, patrimonio di una infanzia dimenticata, è molto utile per i pazienti che ritrovano in questo modo il proprio passato – sottolinea Marchesi -. Se il paziente vive in un contesto ambientale favorevole anche l’uso dei farmaci viene meno e tutto ciò fa sentire la persona amata, non solo assistita. È una strada iniziata già prima della pandemia, poi il Covid ha complicato la situazione, ma oggi qui ci interroghiamo sulla necessità di ampliare sempre più questo concetto. Il PNRR oggi è un problema perché gli investimenti sono marginali rispetto all’entità delle strutture di cui stiamo parlando e soprattutto immagina una situazione fatta di domiciliarità e residenzialità alternative, noi vogliamo superare questo concetto, vogliamo che le RSA diventino sempre più patrimonio del territorio, un servizio a disposizione delle persone, aperte e non chiuse. Con servizi anche diurni e a domicilio».
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