Salute 2 Luglio 2021 16:00

Telemedicina, oltre 2 mila exabyte di dati sanitari generati in un solo anno. Dove vanno a finire?

Ferrara (ingegnere): «Necessario realizzare un Clinical data Repository, un sistema di raccolta dati simile al Data Warehouse usato nel settore amministrativo. Inutile ideare tante soluzioni di telemedicina, se tra loro non comunicano»

di Isabella Faggiano

Una televisita non è una semplice videochiamata. Come la visita in presenza, deve assicurare la sicurezza dell’attività medica e la protezione dei dati personali. Deve utilizzare strumenti immediati e facili per il paziente, ed essere organizzata in modo da garantire un reale beneficio per il paziente e l’intera organizzazione. Ma non è tutto: la televisita non è l’unica opportunità offerta dalla telemedicina.

Le due frontiere della telemedicina

«Le visite a distanza hanno subito un notevole incremento durante la pandemia e sono, senza dubbio, una delle maggiori priorità del momento, in grado di assicurare il diritto alle cure a tutti i pazienti – spiega Fabrizio Massimo Ferrara, responsabile scientifico del laboratorio Altems sui Sistemi Informativi Sanitari e docente di Informatica alla facoltà di Economia dell’università Cattolica di Roma – . Ma la vera sfida è supportare, attraverso la telemedicina, modelli assistenziali e di cura innovativi. Si tratta, ad esempio, di  tecnologie che permettono ai sanitari di seguire un paziente a distanza, monitorandone parametri e valori in tempo reale, 24 ore su 24».

La tutela della privacy

Come tutte le nuove sfide, anche quella per la diffusione della telemedicina, ci pone di fronte a problematiche da superare altrettanto nuove. «Tutela della privacy e conservazione dei dati sono le due principali difficoltà che ci troviamo attualmente ad affrontare – continua il professore -. Per la protezione dei dati personali, la principale normativa europea in materia è il Regolamento generale 2016/679 (General Data Protection RegulationGDPR). Dal punto di vista normativo, va poi considerato anche il nuovo Regolamento europeo sui Dispositivi Medici, entrato in vigore il 25 maggio di quest’anno che, oltre a definire delle regole ben precise per i dispositivi tecnologici, equipara il software medico, ovvero quello utilizzato per prendere delle decisioni cliniche, pur senza interagire direttamente con il paziente, ad un dispositivo medico. Una novità che renderà necessaria la ri-certificazione di quelli ideati durante lo scorso anno sotto la spinta dell’emergenza pandemica».

La raccolta dei dati

L’ascesa della telemedicina è dimostrata anche dai dati raccolti nel 2020. «L’anno scorso – racconta Ferrara – sono stati generati circa 2.300 exabyte (un exabyte equivale ad un miliardo di gigabyte) di dati sanitari. Solo per avere un’idea dell’enorme quantità di cui stiamo parlando è sufficiente pensare che tutto il materiale stampabile come riviste, articoli, pubblicazioni scientifiche sono solo 5 exabyte dei 2.300. Il 16% del totale è stato generato da dispositivi medici con un incremento, negli ultimi anni, del 48%».

Di fronte a queste grandi cifre, una domanda sorge spontanea: che fine fanno tutti questi dati? «Sono conservati in modo frammentato in una miriade di applicazioni, cloud, data base eterogenei. Creare un’unica piattaforma nazionale di condivisione dei dati sanitari è, infatti, una delle maggiori priorità su cui bisognerebbe lavorare. Un bisogno così urgente da essere stato inserito anche nel decreto-legge del 1 marzo 2021 in cui, oltre che di fascicolo elettronico, si parla, per la prima volta in un documento programmatico, anche di piattaforma di conservazione dei dati sanitari».

Clinical Data Repository

Ripensando ai numeri prima citati (circa 2.300 exabyte generati in un solo anno) la conservazione dei dati potrebbe sembrare un’impresa altrettanto enorme. Ma, in realtà, non ci sarebbe nulla di nuovo da inventare, piuttosto sarebbe sufficiente utilizzare modelli già esistenti ed adattarli alla sanità. «Da cinquant’anni i dati amministrativi vengono raccolti nel data warehouse (letteralmente magazzino dati, abbreviato DW). Un sistema simile, altrove già esistente e denominato Clinical Data Repository, dovrebbe essere utilizzato per mettere insieme tutti i dati sanitari». Si tratta di un data base di dati clinici che permetterebbe di integrarli, estrarli e analizzarli in modo autonomo e controllato. Cosa che adesso non è possibile fare.

Verso una struttura piramidale

Per realizzare un Clinical Data Repository è necessario partire dal basso «poiché – sottolinea il docente di informatica -, attualmente, all’interno di una stessa Asl vengono utilizzati fino a 250 sistemi informativi sanitari differenti che non sono in comunicazione tra loro. In altre parole, i dati relativi a visite ed esami effettuati da un singolo paziente, pur all’interno di una stessa Azienda Sanitaria, non sono immediatamente e contemporaneamente visibili. Il medico che li voglia visionare dovrà necessariamente consultare più sistemi». Premesso ciò, la raccolta dei dati dovrebbe innanzitutto essere unificata all’interno delle singole aziende sanitarie, poi confluire nel data base cittadino, provinciale, regionale, fino ad arrivare a quello nazionale. «Se questo non dovesse essere realizzato nel giro di poco tempo, tutto il lavoro di informatizzazione della sanità potrebbe essere vanificato: ideare tante soluzioni di telemedicina ma che tra loro non comunicano – conclude Ferrara – non può rappresentare un vero valore aggiunto per i percorsi assistenziali e di cura».

 

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