In audizione informale alla Commissione Affari Sociali i virologi parlano di una procedura che dà buoni risultati. Non tutte le dosi di plasma hanno però anticorpi neutralizzanti efficaci. Baldanti (San Matteo Pavia): «Maggiore presenza nei guariti da forme gravi»
«Premesso che i risultati del nostro studio non sono di tipo statistico, si è visto che in due terzi dei pazienti trattati con il plasma dei guariti da Covid-19 c’è un miglioramento: in particolare, si è visto che i pazienti che sono in stato critico migliorano in 24-36 ore». Inizia con una nota positiva l’audizione informale in Commissione Affari sociali alla Camera del virologo Andrea Crisanti, direttore del dipartimento di Medicina molecolare e direttore dell’unità operativa complessa di Microbiologia e virologia dell’università di Padova.
La struttura patavina, ha spiegato Crisanti, riceve grandi quantità di plasma da molte regioni italiane, ma prima di poterne approvare l’utilizzo ognuna deve essere analizzata: «In primis per l’assenza di agenti patogeni di qualsiasi tipologia e poi per l’effettiva presenza di anticorpi neutralizzanti». Sono noti con questo nome quelle immunoglobuline in grado di bloccare l’attività e la replicazione del virus nelle cellule bersaglio.
«Per testare questa capacità – ha proseguito Crisanti – servono test che richiedono laboratori con un elevato livello di sicurezza, che poche strutture hanno a disposizione. La nostra esperienza ci ha mostrato che delle sacche che riceviamo solo un 30-40% ha la capacità di bloccare il virus». È quindi essenziale riuscire ad accelerare i test per moltiplicare le dosi di plasma “utilizzabile”. A Padova si cerca un test sierologico surrogato che possa raggiungere la precisione dei test di laboratorio in maniera più semplice e meno costosa.
Della stessa opinione è stato il dottor Fausto Baldanti, responsabile del laboratorio di virologia molecolare della Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo di Pavia. Il virologo ha ribadito che la terapia con plasma iperimmune proveniente dai guariti è una risorsa in assenza di terapie o farmaci specifici, utilizzata anche per Ebola, Sars e influenza aviaria in precedenza.
A rendere “iperimmune” il plasma sono proprio quegli anticorpi neutralizzanti di cui Crisanti ha descritto la verifica, che si sviluppano dopo 2 o 3 settimane dai primi sintomi. «Abbiamo notato come i pazienti con una situazione clinica da Covid-19 più importante risultino solitamente avere più anticorpi neutralizzanti e, viceversa, è raro trovarli in chi ha contratto il virus in forma asintomatica».
Al San Matteo la terapia con il plasma ha dato risultati promettenti sui pazienti in terapia intensiva, su cui tutte le altre terapie stavano fallendo. «Prima dell’utilizzo del plasma la mortalità osservata in ospedale – ha chiarito Baldanti – era del 30%, significa che nella fase più acuta dell’emergenza moriva 1 persona ospedalizzata su 3. Ora la percentuale è stata portata al 6%, il che significa che c’è 1 morto ogni 16 persone».
Questi risultati dimostrano senza alcun dubbio, per il virologo, che la procedura va studiata meglio e approfondita per il beneficio dei pazienti. «In un tempo medio di due giorni dalla somministrazione del plasma – ha proseguito – 3 pazienti su 7 in intensiva sono stati estubati e in una sola settimana la carica virale è diminuita del 3,5%».
Non ci si distragga ora in Fase 2, ha però concluso: «In previsione di una seconda ondata dobbiamo creare qualcosa di pronto all’uso, perciò le banche di plasma e dei test più veloci necessitano di grande attenzione nel panorama scientifico».
Crisanti ha poi dedicato una riflessione al proliferare di test anticorpali privati. «Il problema principale – ha chiarito – è che non c’è nessuno studio che permette di paragonarli. Oggi ce ne sono più di 150 in commercio con prestazioni diverse che producono falsi positivi e negativi. I primi soprattutto sono un problema, perché per lungo tempo si lasciano persone nell’incertezza. C’è grande confusione».
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