Il direttore di Immunoematologia del Policlinico di Pavia: «La terapia sembra essere efficace se ci sono anticorpi sufficienti e se somministrata entro le prime 72 ore dalla comparsa dei sintomi»
Prosegue il dibattito sull’impiego della terapia del plasma iperimmune per combattere il Covid. Se da un lato buona parte dei virologi lo ritiene poco efficace, al Policlinico San Matteo di Pavia continuano ad impiegarlo ad uso compassionevole per i pazienti Covid, come spiega il direttore del Servizio di immunoematologia e medicina trasfusionale Cesare Perotti: «La nostra esperienza è molto positiva, ma non deve essere considerata assoluta. Noi abbiamo imparato che il plasma funziona a due condizioni: che sia raccolto bene e che ci siano all’interno gli anticorpi neutralizzanti. C’è uno studio indiano randomizzato che boccia la terapia, ma se si approfondisce e si va a vedere ciò che dice nel dettaglio, emerge che il contenuto del plasma raccolto è poco superiore a zero. Noi abbiamo un quantitativo di plasma cinque volte superiore e dunque con una maggiore efficacia».
«In secondo luogo – continua Perotti – deve essere dato per tempo. Il timing di infusione è importantissimo – spiega -. È in uscita un bel lavoro fatto negli Stati Uniti nel quale si danno i tempi di quello che noi abbiamo osservato a marzo e aprile: deve essere somministrato nelle prime 48-72 ore da quando il paziente inizia ad avere problemi respiratori. Quindi la tempistica fa la differenza».
Se a marzo ed aprile l’emergenza ha impedito di avviare uno studio randomizzato, oggi i tempi sono maturi per procedere con una sperimentazione ufficiale che richiede una organizzazione complessa, come ha ribadito il professor Perotti.
«Il San Matteo è stato nominato dalla Commissione Europea per uno studio molto vasto ed approfondito sull’utilizzo del plasma per trarre le conclusioni e scrivere le linee guida per la selezione del convalescente, per la raccolta del plasma e per la sperimentazione. In Europa c’è grande interesse, al punto che questo progetto, che si chiama Support-E, ha avuto un finanziamento di quattro milioni e mezzo da distribuire tra tutti i Paesi aderenti, soprattutto i più bisognosi».
«A livello italiano – continua Perotti – lo studio è partito in ritardo e con fatica perché le vicende burocratiche sono state lunghe. Oggi è partito Tsunami, il protocollo italiano che si prefigge di raccogliere i dati su pazienti randomizzati. Cosa che prima non è stato possibile fare, perché era necessario agire con rapidità sui malati; ora invece ci sono le condizioni per farlo nel miglior modo possibile. Anche perché – aggiunge – purtroppo abbiamo ricominciato a utilizzarlo per uso compassionevole a chi ne fa richiesta».
Mentre Tsunami fa il suo corso, al San Matteo si lavora per potenziare la banca del plasma che a causa della ripresa della pandemia necessita di un maggior numero di donatori: «Da subito ci siamo organizzati per stoccare il plasma iperimmune – racconta Perotti – ma la banca del plasma va implementata e oggi stiamo attivando di nuovo il meccanismo di richiamo dei convalescenti perché vengano a donare. È un’azione di concerto tra il clinico, il paziente e la comunicazione», conclude.
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