«Il gene suicida è quell’elemento che differenzia la nostra terapia dalle altre tentate in precedenza. Vi spiego cos’è…» l’intervista a Concetta Quintarelli responsabile del Laboratorio di Terapia Genica dei tumori del Bambino Gesù
«Cellule riprogrammate per combattere il tumore» in poche parole Concetta Quintarelli, Responsabile del Laboratorio di Terapia Genica dei tumori del Bambino Gesù, racconta, in esclusiva ai nostri microfoni, il grande passo raggiunto con la terapia genica adottata all’Ospedale pediatrico per salvare un bambino di quattro anni gravemente malato di leucemia linfoblastica acuta. Un traguardo, raggiunto dallo staff del dipartimento di Onco-Ematologia, che ha restituito la vita a chi aveva perso ogni speranza.
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Il ‘paziente 1’, così è stato rinominato il primo italiano sottoposto alla cura, prima di tentare questo approccio rivoluzionario, era stato sottoposto a tutte le terapie convenzionali dimostratesi inefficaci. «Siamo giunti a questa conclusione perché il paziente risultava recidivo a tutte le cure» spiega la dottoressa. «Si tratta di un protocollo che mettiamo in atto nei casi in cui il soggetto sviluppa delle tossicità che non possono essere controllate dai farmaci e tutti i tentativi di terapie, compreso il trapianto di cellule staminali ematopoietiche, risultano vani».
Prima del caso del Bambino Gesù, già nel 2012 al Children Hospital di Philadelphia negli Stati Uniti, una terapia genica simile era stata applicata con successo su una paziente di 12 anni e da allora varie sperimentazioni erano partite in tutto il mondo. «Il nostro approccio terapeutico differisce dagli altri per vari punti – spiega la Quintarelli -. Prima di tutto il nostro è uno studio accademico, questo significa che tutto il processo, incluso quello della produzione del farmaco, quindi delle cellule geneticamente modificate, viene istituito solo all’interno del nostro istituto. Inoltre è differente la piattaforma utilizzata per la modifica genetica e in particolar modo, nel nostro caso, utilizziamo dei ‘retrovirus’ che ci consentono di aumentare il numero di cellule geneticamente modificate che riusciamo ad avere alla fine della produzione, fino al punto dell’inclusione del paziente stesso».
«Inoltre – prosegue – all’interno della nostra terapia, a differenza di tutti gli altri approcci, abbiamo aggiunto quello che viene definito il gene suicida. Si tratta di un gene che, nel momento in cui lo riteniamo indispensabile, può essere acceso con la somministrazione di un farmaco e le cellule geneticamente modificate vengono eliminate. Questo processo quando diventa necessario? Per i pazienti che ‘hanno recidivato’, ossia che hanno visto la ricomparsa della malattia dopo tutti i tentativi di cura possibili».
La terapia genica è applicabile anche per altro tipo di patologie oltre quelle tumorali? «La cura si applica in particolare ai pazienti affetti da leucemia linfoblastica – spiega la Dottoressa – tuttavia al Bambino Gesù è stato aperto anche un altro studio rivolto ai tumori solidi, nello specifico il neuroblastoma. Inoltre approcci simili potrebbero essere applicati anche in alcune patologie autoimmuni: non ci sono però ad oggi terapie disponibili di questo tipo, è solo una prospettiva».