«Speranze da un antivirale che stiamo sperimentando e che potrebbe azzerare la carica virale in 5 giorni»
Mentre prosegue la campagna vaccinale, sul fronte delle cure contro il Covid sembrano esserci buone notizie da un nuovo antivirale che potrebbe essere in grado di bloccare la trasmissione del Covid in 24 ore. Sette i centri italiani coinvolti nella sperimentazione: tra questi il San Martino di Genova, dove abbiamo raggiunto il virologo Matteo Bassetti per capire a che punto è la ricerca e quali farmaci oggi sono più efficaci nella battaglia contro il virus.
«Si chiama Molnupiravir, è un antivirale che ha dimostrato negli studi di fase due, recentemente presentati al congresso americano CROI (Conference on Retroviruses and Opportunistic Infections) che, su un numero consistente di soggetti trattati, entro cinque giorni si arriva ad azzerare la carica virale. Siamo pronti a sperimentarlo – dice Bassetti – e speriamo che il via libera arrivi il prima possibile. Ci auguriamo di produrre dati scientificamente rilevanti in modo da avere l’approvazione e poterlo utilizzare già nel prossimo autunno e inverno. A rendere ancora più interessante questo farmaco è la disponibilità in pastiglie, quindi potrebbe essere un ottimo antivirale per trattare soggetti a casa con l’antibiotico che riduce la carica virale e permette di ottenere un risultato simile a quello degli anticorpi monoclonali».
Proprio al San Martino di Genova è stato sottoposto il primo paziente all’infusione dei monoclonali, dando il via ad una pratica che oggi si sta diffondendo in molti centri con risultati soddisfacenti, come rimarca lo stesso Bassetti «Gli anticorpi monoclonali si utilizzano nelle fasi molto precoci della malattia, soprattutto in certi soggetti come anziani o chi ha fragilità importanti, come obesi, nefropatici o coloro che hanno problemi respiratori. Gli anticorpi monoclonali sono di tre tipi e la somministrazione si effettua in ospedale. A Genova abbiamo collaudato un sistema che funziona bene – prosegue – dove i medici di base intercettano il caso, lo segnalano al reparto di malattie infettive dove c’è un team che discute il caso e l’appropriatezza della terapia e, se si ritiene idoneo il soggetto, un’ambulanza lo preleva da casa, lo porta in ospedale dove resta un’ora e mezza per l’infusione, poi rientra a casa nella speranza di aver sconfitto il virus. In quel caso i monoclonali fungono da estintori sul virus».
Bassetti ribadisce quindi quali sono gli errori da evitare nella cura del Covid: «Avere un tampone positivo per Sars-Cov-2 non vuol dire che un soggetto sia candidato a fare la terapia cortisonica, antibiotica e con eparina». Una teoria che il virologo genovese difende da tempo. «Questo è un grave errore che molti commettono, perché il cortisone ha dimostrato di funzionare unicamente se utilizzato almeno dopo una settimana dall’apparizione dei sintomi e se c’è una desaturazione. Infatti, il cortisone ha un potente effetto antinfiammatorio, ma contestualmente ha anche un effetto immunosoppressivo, e considerato che nei primi sette giorni la carica virale è molto alta e proprio in quella fase c’è bisogno che le nostre difese immunitarie funzionino bene, se si inibisce con il cortisone si fa l’interesse del virus e non del paziente».
«Altro dato – prosegue – è che l’eparina deve essere fatta alle persone immobilizzate a letto, che hanno problemi di coagulazione del sangue, ma attenzione: non devono usarlo tutti. Lo stesso discorso vale per gli antibiotici che devono essere usati solo in casi selezionati: quando si ha evidenza di una situazione batterica, quindi solo un 5% del totale dei pazienti. Questo vuol dire che nel 95% dei casi l’antibiotico non serve».
Diversa la gestione delle cure in ospedale dove il quadro clinico dei pazienti Covid è più grave e negli ultimi dodici mesi sono stati fatti passi avanti con i farmaci, come precisa lo stesso virologo: «Il cortisone nel paziente ospedalizzato è essenziale perché funziona bene in chi ha una insufficienza respiratoria e necessita di ossigeno, soprattutto se l’infezione dura da un certo numero di giorni. Anche l’eparina a basso peso molecolare in chi ha fattori di rischio e in chi ha segni polmonari importanti diventa fondamentale per evitare fenomeni tromboembolici, mentre l’antibiotico si seleziona solo in alcuni particolari casi».
«Da segnalare che in ospedale alla terapia si aggiungono gli antivirali, in particolare Remdevisir qualora l’esordio dei sintomi si sia verificato entro i dieci giorni precedenti. Il farmaco ha la capacità di ridurre la carica virale soprattutto quando è molto alta. In alcune situazioni particolari poi, quando c’è un aumento importante dell’interleuchina 6 e di altri parametri, oltre a problemi respiratori, è possibile aggiungere alla terapia con cortisone anche degli antinfiammatori come il Tocilizumab o similari. Devo dire che è stato utilizzato molto in un primo momento e poi abbandonato. Oggi, viste le evidenze scientifiche, siamo tornati ad utilizzarlo perché è un farmaco che migliora le performance della terapia con cortisonici».
Convinto che il plasma iperimmune non sia la strada maestra da seguire «dal momento che il progresso della medicina, della tecnologia e della farmacia hanno messo a disposizione farmaci più efficaci», rimarca Bassetti, «i vaccini sono stati la vera conquista dell’ultimo anno perché oggi, oltre a quelli in commercio, ci sono ottanta programmi pronti ad arrivare sul mercato. Il che permetterà di proteggere buona parte della popolazione e di avere dunque meno casi».
«Quindi – conclude – la prevenzione da un lato mi permette di essere ottimista, allo stesso modo sono fiducioso perché oggi abbiamo imparato a distinguere cosa poter usare e cosa no. Penso che il modo di vedere questa malattia sia di porre tutto sotto la lente d’ingrandimento della scienza. In caso contrario si rischia di dare voce agli stregoni, cosa assolutamente da evitare».
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