Salute 26 Settembre 2022 13:55

Test anti-Covid made in Italy ci dirà quando fare il richiamo di vaccino

Sviluppato dall’IRCCS Candiolo di Torino in collaborazione con l’Italian Institute for Genomic Medicine (IIGM) e con il laboratorio Armenise-Harvard di Immunoregolazione, un test che servirà, su larga scala, a stabilire il livello e la durata di immunizzazione delle persone al virus Sars-CoV-2

Test anti-Covid made in Italy ci dirà quando fare il richiamo di vaccino

Un semplice test del sangue potrebbe dirci se abbiamo bisogno di una nuova dose di vaccino anti-Covid o se si può aspettare prima di fare il «booster». A metterlo a punto è stato un team di ricercatori italiani dell’IRCCS di Candiolo che, con l’Italian Institute for Genomic Medicine (IIGM), nel laboratorio Armenise-Harvard di Immunoregolazione. Il nuovo esame è stato descritto sulla rivista Nature Immunology.

La durata della risposta immunitaria varia da persona a persona

Il lavoro dei ricercatori è partito dal presupposto che non tutti beneficiano allo stesso modo della vaccinazione anti-Covid. In alcune persone la risposta immunitaria contro il virus Sars-CoV-2 è più forte e duratura che in altre. Perciò può capitare che un individuo abbia bisogno di una nuova dose di vaccino anti-Covid dopo pochi mesi e un altro dopo 6 o addirittura 10 mesi. Infatti, non tutti riescono a mantenere alta la risposta necessaria a riconoscere ed eliminare il virus e le sue varianti, compresa quella attualmente dominante, la Omicron.

Misurare  i linfociti T è fondamentale per determinare il livello di protezione

La reazione immunitaria specifica è composta da due tipi di cellule, i linfociti B e i linfociti T, i primi responsabili della produzione di anticorpi, i secondi della risposta cellulare contro il virus, ovvero del riconoscimento e dell’eliminazione delle cellule infettate. Valutare e misurare la presenza di linfociti T reattivi è dunque fondamentale per capire se una persona è ancora protetta dal contagio, anche se ci sono bassi livelli di anticorpi e fino ad oggi quantificare la presenza di queste cellule era molto complesso e difficoltoso.

Il test quantifica i linfociti T della memoria

Uno scenario destinato a cambiare grazie al nuovo test del sangue in grado di superare i limiti degli attuali test sierologici, da soli non in grado di determinare il livello e la durata dell’immunità al virus Sars-CoV-2. In altre parole, questo test che consiste nella quantificazione i linfociti T della memoria, consente di misurare e quindi verificare se il sistema immunitario è ancora «armato» contro il virus o se ha bisogno di essere potenziato con una nuova dose del vaccino.

Le cellule T risentono meno delle mutazioni delle nuove varianti

«Avere gli anticorpi non significa per forza essere protetti dall’infezione, perché nel tempo questi calano e non sono sufficienti a proteggere dal contagio, ragione per cui si è optato per la dose booster», spiega Luigia Pace, responsabile di questa ricerca presso l’IRCCS di Candiolo Laboratorio di Immunologia Oncologica e responsabile del Laboratorio di Immunoregolazione presso l’IIGM, tra gli autori dello studio. «Le cellule T sono ‘allenate’ a riconoscere molte porzioni della proteina spike del virus, e risentono molto di meno delle variazioni introdotte dalle mutazioni delle nuove varianti mai incontrate in precedenza», precisa Pace.

Il test è stato sviluppato a partire dallo studio delle reazioni immunitarie al virus

«Nel nostro studio, condotto su oltre 400 soggetti, sottoposti a vaccino mRNA Pfizer, abbiamo analizzato – continua la scienziata – la reazione immunitaria contro il virus, cioè le risposte delle cellule B che producono gli anticorpi, e la risposta dei linfociti T di memoria contro la proteina spike di Sars-CoV-2 o derivata dalle varianti B.1.351 (Beta), B.1.617.2 (Delta) e B.1.1.529 (Omicron), fino a 10 mesi dopo la vaccinazione. In base alla produzione di anticorpi e alla qualità delle risposte delle cellule B e T specifiche contro il virus a 3 mesi dopo la prima dose di vaccino, abbiamo identificato due categorie di soggetti, rispettivamente con alte e basse risposte al vaccino. I soggetti con una capacità di risposta superiore presentano un aumento della frequenza delle cellule T – sia le CD4+ che le CD8+ della memoria centrale – anche dopo la dose di richiamo».

La vaccinazione con mRNA promuove l’aumento dei livelli di anticorpi

«In pratica, queste persone hanno una maggiore capacità di neutralizzazione del virus rispetto ai soggetti che presentano una bassa risposta», evidenzia la co-autrice dello studio. «È importante sottolineare che i soggetti a bassa risposta risultano meno protetti contro la malattia Covid-19, causati dalle varianti Delta e Omicron, anche dopo il ciclo completo di vaccinazione», sottolinea. Lo studio ha permesso anche di rilevare che, in chi è stato precedentemente infettato da Sars-CoV-2, la vaccinazione con mRNA promuove l’aumento dei livelli di anticorpi e il potenziamento di cellule T CD4+ e CM CD8+ specifiche contro il virus.

Con il test è possibile capire chi necessità di un’ulteriore protezione

«Nell’insieme, questi risultati dimostrano che le cellule T di memoria specifiche e con proprietà poli-reattive contro le varianti, sono determinanti nella riduzione del rischio di infettarsi con le varianti Omicron e sviluppare il Covid-19», dice Pace. Lo studio ha importanti implicazioni sulla futura gestione della pandemia. «Poter capire se si è in possesso di queste cellule sarà utile per stabilire il grado di protezione della popolazione generale, ed in particolare dei soggetti più fragili e selezionare chi e quando necessita di un’ulteriore protezione con la vaccinazione», conclude la ricercatrice.

 

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