Uno studio ha esaminato gli effetti sul cervello dei video personalizzati: attivano le stesse aree delle dipendenze. Lai (psicologo): «Esistono utilizzatori attivi e passivi, i primi rischiano maggiormente una dissociazione dalla realtà»
I social network, soprattutto quelli di ultima generazione, possono creare dipendenza. A dimostrarlo uno studio cinese che ha esaminato gli effetti sul cervello di Douyin, l’equivalente orientale di Tik Tok in Cina. I video personalizzati, ovvero quelli raccomandati direttamente dall’app, attivano i centri di ricompensa del cervello, le stesse aree che si “accendono” di fronte ad una dipendenza, effetti non riscontrati con la visualizzazione di video generici. «Tuttavia, parlare di velocità di stimoli è piuttosto riduttivo – dice Carlo Lai, professore associato di Psicologia Clinica all’università Sapienza di Roma, membro del network di Psicologia Perinatale dell’Ordine degli Psicologi del Lazio -. I social network di ultima generazione non sono semplicemente veloci, ma sono immersivi, ovvero sempre più capaci di catturare completamente, o quasi, la concentrazione di chi li utilizza».
Gli effetti finora osservati, attraverso studi clinici specifici, sono piuttosto circoscritti. «La limitazione deriva da due fattori. Innanzitutto, sono ancora troppo poche le ricerche scientifiche sull’argomento e, ad oggi, non possiamo contare su una quantità di dati sufficienti che ci consentano di delineare gli effetti dei social sulla psiche dei nostri giovani – spiega Lai -. La maggior parte degli studi finora effettuati sono stati commissionati da grandi aziende produttrici con finalità di marketing, al fine di meglio indirizzare le loro attività promozionali. Inoltre, esistono una serie di conseguenze a lungo termine che potranno essere valutate solo nell’arco dei prossimi 10 anni. Ovviamente, non possiamo dare per scontato che gli effetti siano esclusivamente negativi. Ne potranno emergere anche di positivi».
Tuttavia, anche se basati su un numero limitato di casi, gli studi clinici finora condotti qualcosa hanno dimostrato. «La capacità immersiva dei social attualmente più in voga tra i giovani ha un forte potere evasivo – aggiunge lo psicologo -. Guardare un video estremamente veloce, come quelli proposti su Tik Tok, può isolare il soggetto dal contesto in cui si trova, creando una sorta di estraneazione dalla realtà. Non solo l’individuo in questione, immerso nei social, non si renderà conto di ciò che gli accade intorno, ma potrà utilizzare il mondo virtuale come rifugio ogni volta che vorrà scappare da quello reale. Tanto più questa fuga sarà frequente e duratura, maggiori saranno i rischi che ne potranno derivare».
Le modalità di utilizzo dei social network sono molteplici e non tutti gli utenti ne sfruttano appieno ogni potenzialità. «Potremmo dividere gli utilizzatori in due grandi categorie: attivi e passivi – sottolinea l’esperto – La componente dissociativa (ovvero quella capacità immersiva che estranea dalla realtà) è, solitamente, più spiccata negli utilizzatori attivi. Questi individui, infatti, attraverso i social creano la propria personalità, spesso anche più di una. E i loro rapporti sociali, soprattutto quelli con i pari, sono costruiti sulla base dell’identità che “artificialmente” si sono creati. Il rischio è che queste personalità così facilmente prodotte possano essere distrutte con la stessa semplicità, trascinando via con sé tutti i rapporti sociali che vi ruotavano attorno. E, in alcuni casi, potrebbe trattarsi anche della totalità delle relazioni di un individuo».
E allora, come correre ai ripari, nell’attesa che studi scientifici più ampi e attendibili ci mettano in guardia sulle conseguenze peggiori e ci guidino verso l’esaltazione dei benefici? Da qualche settimana è terminata la consultazione pubblica indetta da Agcom per l’adozione di Linee guida sull’utilizzo di “Sistemi di protezione dei minori dai rischi del cyberspazio” che, come si legge nell’articolo 7-bis, «obbliga gli operatori, nei contratti di fornitura nei servizi di comunicazione elettronica, a pre-attivare gratuitamente sistemi di controllo parentale ovvero di filtro di contenuti inappropriati per i minori e di blocco di contenuti riservati ad un pubblico maggiorenne». Il parental control è quel sistema che permette ad un genitore di monitorare o bloccare l’accesso a determinate attività da parte del bambino e anche di impostare il tempo di utilizzo di computer, tv, smartphone e tablet. Ma per il professor Lai non è la panacea di tutti i mali. «Sarei cauto a definirla la Soluzione. I genitori moderni sono spesso alle prese con la mancanza di tempo e la conseguente difficoltà di gestione. Attivare il parental control significherebbe delegare una funzione, come quella del controllo, che invece – conclude Lai – spetterebbe proprio ad una mamma ed un papà».
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