Cardillo (CNT): «I trapianti eseguiti sono stati tutti un successo. I risultati sono stati pubblicati sull’American Journal of Transplantation. Dopo di noi, tanti altri Paesi hanno seguito il nostro esempio. Ora si lavora alla redazione di Linee Guida europee»
Settantaquattro trapianti realizzati grazie agli organi di 50 donatori positivi al Covid-19. In Italia, la pandemia non solo non ha fermato le donazioni, ma ha anche offerto nuove possibilità a chi era in attesa di un cuore nuovo. Il Centro nazionale trapianti italiano, infatti, è stato il primo Paese al mondo ad aver attuato un protocollo sperimentale: «Attivo dal novembre 2020, questo programma consente di effettuare trapianti di organi provenienti da donatori risultati positivi al coronavirus e deceduti per altre cause, su riceventi positivi al momento del trapianto o già immunizzati per malattia pregressa o per vaccinazione – spiega il direttore del Centro Nazionale Trapianti, Massimo Cardillo -. I trapianti eseguiti sono stati tutti coronati da successo e non abbiamo avuto nemmeno un caso di trasmissione della malattia».
Inizialmente limitato agli organi salvavita come cuore e fegato, il protocollo è stato poi esteso ai reni «Quando 15 mesi fa abbiamo deciso di attivare questo protocollo non c’erano precedenti a livello internazionale e, così, ci siamo attenuti alle conoscenze che fino a quel momento la comunità scientifica aveva raccolto sul Covid-19. Partendo dal presupposto che questo virus alberga principalmente nei polmoni, abbiamo ipotizzato che il trapianto di altri organi (diversi dai polmoni) non avrebbe causato alcuna trasmissione della malattia. Il secondo passo, poi, è stato selezionare pazienti ad alto rischio, ovvero coloro che senza un trapianto imminente non sarebbero sopravvissuti. Tra i donatori, invece, sono stati selezionati soltanto coloro che, pur essedo positivi al Covid-19, non avevano una sintomatologia severa della malattia. In altre parole, si trattava di persone decedute per motivi diversi dal Sars-CoV-2, risultate positive all’infezione in modo del tutto accidentale», sottolinea Cardillo.
Seguendo questo primo protocollo, estremamente prudenziale, sono stati effettuati i primi 10 trapianti. «Il risultato raggiunto dalla Rete trapiantologica italiana, totalmente positivo, è stato pubblicato sul prestigioso American Journal of Transplantation e riconosciuto dalla comunità scientifica internazionale. Tanto che, seguendo lo stesso protocollo – aggiunge Cardillo -, tanti altri Paesi hanno seguito l’esempio dell’Italia. Pochi giorni fa, durante un vertice, che ha coinvolto i principali Centri europei, è stata proposta la redazione di Linee Guida per i trapianti d’organi da donatori positivi al Covid-19».
Trapiantare organi prelevati da donatori affetti da un’infezione virale non è una novità assoluta. «La prima esperienza è stata fatta con il virus dell’epatite B, selezionando riceventi che avessero già contratto la malattia – racconta il direttore del CNT -. Poi, l’arrivo dei farmaci antiretrovirali ci ha ulteriormente spianato la strada, allargando la platea delle donazioni di organi provenienti da donatori affetti da epatite e permettendo anche trapianti da donatori positivi all’HIV, verso riceventi ugualmente positivi».
Accanto alla sperimentazione di protocolli innovativi il Centro Nazionale Trapianti punta al rafforzamento dell’intera rete. «Innanzitutto, è necessario che siano avviate campagne di sensibilizzazione più efficaci: oggi il diniego del consenso al trapianto d’organo è ancora al 30%. Inoltre, è ugualmente urgente migliorare l’organizzazione interna agli ospedali per la gestione dei trapianti, operazioni complesse che richiedono professionisti dedicati formati e motivati. Infine, il futuro dei trapianti è anche nelle mani della ricerca che deve puntare da un lato al miglioramento delle terapie immunosoppressive necessarie a seguito di un trapianto e, dall’altro, alla sperimentazione di organi artificiali».
Intanto, la conclusione dello stato d’emergenza Covid-19 non comporterà cambiamenti rispetto all’attività di donazione e trapianto: tutte le misure di sorveglianza infettivologica per il coronavirus resteranno attive e continuerà anche l’attività di monitoraggio sull’efficacia dei vaccini nelle persone trapiantate. Secondo l’ultimo aggiornamento effettuato grazie alla collaborazione del Centro Nazionale Trapianti con il sistema di sorveglianza integrata dell’Istituto Superiore di Sanità, i dati dimostrano che un paziente trapiantato non vaccinato ha un rischio 4 volte superiore di infettarsi con il Sars-CoV-2 rispetto a un trapiantato vaccinato con 3 dosi, e un rischio di letalità a 30 giorni più che doppio. «A dicembre 2021, l’84% dei pazienti trapiantati risultava vaccinato e più del 70% aveva ricevuto la terza dose – conclude Cardillo – e alla luce dei dati sull’efficacia, è importante che prosegua con ritmo serrato la campagna vaccinale in questi pazienti fragili, con la somministrazione della quarta dose».
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