L’intervento, effettuato su una giovane donna nata senza l’organo, le permetterà di avere una gravidanza. A seguito del parto, l’organo verrà rimosso. L’intervista al professor Paolo Scollo, responsabile dell’equipe che ha condotto l’intervento
Inseguire il sogno di una maternità, che da miraggio si trasforma in opportunità concreta. È stato questo l’obiettivo che ha animato il primo trapianto di utero in Italia, eseguito nei giorni scorsi presso il Centro trapianti del Policlinico di Catania in collaborazione con l’Azienda ospedaliera Cannizzaro. L’intervento, effettuato su una donna di 29 anni affetta da sindrome di Rokitansky, una rara patologia congenita a causa della quale la donna era nata priva di utero ma dotata di ovaie e tube, è stato realizzato con un protocollo approvato dal Centro nazionale trapianti nel giugno 2018.
A donare l’organo è stata una donna di 37 anni, deceduta per arresto cardiaco improvviso, che aveva espresso in vita il proprio consenso alla donazione al momento del rinnovo della carta d’identità. La donatrice aveva avuto in passato gravidanze terminate con parto naturale.
Il processo di donazione è stato coordinato dal Centro nazionale trapianti, dal Centro regionale della Sicilia e da quello della Toscana, regione di provenienza della donatrice, e l’intervento è stato eseguito da un’equipe chirurgica composta dai professori Pierfrancesco e Massimiliano Veroux, Paolo Scollo e Giuseppe Scibilia.
«Il protocollo sperimentale – spiega ai nostri microfoni il professor Scollo, direttore del Dipartimento di Ostetricia e Ginecologia dell’Ospedale Cannizzaro, responsabile dell’equipe che ha condotto l’intervento – ha come obiettivo l’esito positivo di una gravidanza della paziente trapiantata. Si tratta quindi di un tipo di intervento quoad valetudinem e non quoad vitam».
«Secondo i criteri definiti dal protocollo di inclusione, le potenziali candidate al trapianto sono donne con età compresa tra i 18 e i 40 anni – quindi in età fertile – affette da sindrome di Rokitansky, come nel caso della nostra paziente, oppure donne a cui è stato rimosso l’utero per fibromi e altre patologie non oncologiche, o anche pazienti che a seguito di morte endouterina hanno avuto complicanze che hanno reso necessaria l’asportazione dell’organo».
«Tutto il processo di arruolamento – prosegue Scollo – che comprende esami, Tac e risonanze, ma anche indagini ormonali per accertare l’effettiva capacità ovulatoria della paziente, viene espletato presso l’Ospedale Cannizzaro. Se la paziente presenta una buona riserva ovarica, si prelevano gli ovociti per congelarli: una procedura che può svolgersi solo in una fase precedente al trapianto perché i farmaci antirigetto sono nocivi per gli ovuli. A questo punto, seguono gli esami per determinare i parametri di compatibilità dopodiché la paziente entra in lista d’attesa. Lista d’attesa che non segue un criterio cronologico “verticale”, appunto, ma “orizzontale”, basato sulla compatibilità».
«Per quanto riguarda l’intervento specifico – racconta il professore – al Careggi l’espianto dell’organo dalla donatrice è durato circa tre ore. Siamo poi tornati a Catania con l’organo prelevato, e l’impianto sulla ricevente ha avuto una durata di circa otto ore, a seguito del quale la paziente è stata portata, come avviene di routine dopo ogni intervento di tale durata, in terapia intensiva. Oggi la paziente è già stata trasferita in reparto ma ovviamente per stabilire una data per le dimissioni bisogna osservare il decorso giorno dopo giorno».
«Tra sei – otto mesi – spiega Scollo – quando tutto si sarà consolidato e avremo la certezza della riuscita funzionale del trapianto (e sarà arrivato anche il ciclo mestruale) potremo procedere alla fecondazione assistita omologa. Se la gravidanza procederà positivamente, si arriverà al parto tramite taglio cesareo e, a nascita avvenuta, si procederà alla rimozione chirurgica dell’utero, per evitare che la donna debba rimanere sottoposta ulteriormente alla terapia immunosoppressiva necessaria a evitare il rigetto dell’organo».
«Questo primo trapianto di utero arriva al termine di un lungo e complesso percorso partito da Catania e che ha coinvolto l’intera Rete trapiantologica – commenta il direttore del Centro nazionale trapianti Massimo Cardillo – sia nella fase di valutazione e approvazione del protocollo, sia nel reperimento dell’organo. Si tratta di un evento storico per la trapiantologia italiana e per il Servizio sanitario nazionale, che ancora una volta dimostra il proprio livello di eccellenza sotto il profilo scientifico e organizzativo».
«Un ringraziamento particolare, oltre che all’equipe catanese, va alla memoria della donatrice, una giovane donna scomparsa improvvisamente che aveva scelto in vita di voler compiere un gesto di generosità del quale hanno beneficiato ben sei persone».