Salute 23 Dicembre 2020 08:53

Troponina T: il biomarcatore cardiaco è una spia pericolosa nei pazienti con Covid-19

Uno studio realizzato tra Milano e Wuhan dal dottor Ammirati del Cardio Center dell’Ospedale Niguarda con il supporto della Fondazione De Gasperis ha evidenziato, su 2068 pazienti ricoverati in terapia intensiva, come un aumento del biomarcatore di danno cardiaco si associ ad una maggiore mortalità

di Federica Bosco

Si chiama Troponina T ed è un biomarcatore di danno cardiaco che risulta avere un ruolo fondamentale nel decorso del Covid-19 in pazienti gravi quando aumenta in maniera significativa. Ad evidenziare un’associazione tra maggiore mortalità e questo marcatore di danno cardiaco uno studio condotto dal dottor Enrico Ammirati, cardiologo del Cardio Center del Niguarda di Milano e dai colleghi dell’ospedale Tongii di Wuhan con il supporto della fondazione de Gasperis.

«La troponina è dosata nei pazienti che hanno un infarto miocardico per identificare chi ha un danno cardiaco in atto – spiega Ammirati – ma abbiamo osservato che, nonostante il Covid-19 interessi principalmente i polmoni causando una grave insufficienza respiratoria, in realtà il danno cardiaco gioca un ruolo fondamentale».

Dallo studio che ha preso in esame diversi biomarcatori, in particolare proprio la Troponina T e realizzato su un campione di 2068 pazienti Covid ricoverati in ospedale a Wuhan tra marzo e aprile con un’età mediana di 63 anni e metà dei quali donne, è emerso infatti che il 23 percento dei pazienti che finivano in terapia intensiva durante l’ospedalizzazione avevano un incremento della troponina anche del 30 percento. Il restante 77 percento dei pazienti, che non venivano ricoverati durante l’ospedalizzazione in terapia intensiva, invece, avevano un aumento di questo marcatore soltanto nel 2 percento dei casi. «Quindi – prosegue – sin dall’inizio, si è vista una correlazione tra questo marcatore e l’aggravarsi della malattia, più cresceva il valore della troponina nel sangue più aumentava il rischio di finire in terapia intensiva per insufficienza respiratoria grave con intubazione e ventilazione meccanica».

Un aumento di Troponina nei primi tre giorni di ricovero accresce rischio di morte

Questo dato, osservato dal cardiologo italiano nello studio realizzato con la collaborazione della dottoressa Chenze Li e con il professor Dao Wen Wang conosciuti durante un congresso internazionale proprio a Wuhan nell’ottobre 2019, ha portato ad evidenziare come questo marcatore cardiaco si associ ad una aumentata mortalità qualora i suoi livelli aumentino durante il decorso della malattia anziché diminuire. «In particolare – ha aggiunto Ammirati – si è andati a vedere come variano i valori di troponina nei primi tre giorni di ricovero, dal quarto alla fine della prima settimana, e così via. Ne è emerso un dato interessante perché si è visto che entro i tre giorni dall’avvio delle cure in terapia intensiva, il valore di questo biomarcatore aumentava nel 69% dei pazienti poi morti, mentre era in netta discesa nel 30% di chi sopravviveva. Non solo, chi moriva aveva la concentrazione di troponina T nel sangue pari a 117 picogrammi per millilitro, chi invece sopravviveva aveva solo 13 picogrammi per millilitro tra la quarta e la settima giornata di ricovero in terapia intensiva, ancora chi non finiva proprio in terapia intensiva aveva un valore compreso tra due e sei picogrammi per millilitro, quindi valori molto più bassi».

Legame con marcatori dell’infiammazione

Lo studio riportato dal Journal Molecular and Cellular Cardiology, ha evidenziato anche una correlazione tra la Troponina T e i marcatori dell’infiammazione in particolare della interleuchina sei e della proteina C reattiva. «Questo ha suggerito che il danno cardiaco che porta al rilascio della troponina T sia legato ad una tossicità non specifica innescata dal virus e quindi il valore di questo biomarcatore può essere utile per capire il decorso della malattia e ci dice anche qual è il suo andamento nel tempo, chi sopravviverà e chi no, nonostante sia finito in terapia intensiva». Una spia, dunque, da monitorare nei pazienti con Covid «ma attenzione – ha infine rilevato Ammirati – non è un valore da ricercare in pazienti asintomatici o non ospedalizzati, è invece un prezioso dato da indagare nei pazienti che sviluppano la polmonite in aggiunta agli altri già noti fattori di rischio».

 

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