All’IIGM presso l’Istituto dei tumori di Candiolo (To) i ricercatori del laboratorio Armenise Harvard di immunoregolazione hanno svelato il meccanismo di azione di un nuovo vaccino anticancro che ha dato promettenti risultati sui primi 12 malati di tumore al colon in fase metastatica. Pace (direttrice laboratorio immunoregalazione): «Si tratta di un trial non va però a sostituire le terapie tradizionali
Scoperta la chiave per far ripartire il sistema immunitario e attaccare le cellule tumorali. Con questo meccanismo i ricercatori del laboratorio Armenise Harvard di immunoregolazione dell’IIGM presso l’Istituto dei Tumori di Candiolo (To) in collaborazione con la biotech Italo-Svizzera Nouscom, hanno trovato il meccanismo di un nuovo vaccino contro il cancro che promette di essere una vera rivoluzione.
La scoperta, pubblicata sulla rivista specializzata Science Translational Medicine, porta la firma di Luigia Pace, direttrice del laboratorio di immunoregolazione ed è stata oggetto di un primo studio clinico negli Stati Uniti sui primi 12 pazienti con un tumore nel tratto gastrointestinale di tipo H-MSI in fase metastatica con risultati per ora incoraggianti. Il vaccino si è infatti mostrato efficace in associazione ad un farmaco immunoterapeutico che blocca il recettore PD-1.
Il successo di questo studio, realizzato in collaborazione con la biotech svizzero italiana Nouscom, sta nell’aver individuato un duplice meccanismo in grado di far ripartire il sistema immunitario e al tempo stesso colpire le cellule tumorali. «Questo tipo di tecnologia può essere usata per la prevenzione e per il trattamento della patologia, quindi è sia preventiva che terapeutica – tiene a precisare la dottoressa Pace – Nel nostro studio è stato utilizzato per scopo terapeutico, il che significa per trattare dei soggetti che già hanno un tumore e l’abbiamo fatto in combinazione con l’immunoterapia basata sul blocco dei checkpoint». Nello specifico è stato utilizzato un anticorpo in grado di bloccare PD-1, un ricettore inibitorio, uno dei freni più importanti del sistema immunitario, per poi agire con il vaccino che si basa su un adenovirus reso innocuo.
«La novità è duplice – riprende -: perché con questa tecnologia siamo in grado di indagare l’individuo, attraverso un esame del sangue, ben oltre il normale emocromo e alla formula linfocitaria, ma si può andare a vedere come il sistema immunitario di un soggetto risponde alla terapia con il vaccino. L’altro aspetto importante da sottolineare è che, Nouscom, questa biotech italo svizzera che ha prodotto il vaccino e ha avviato un trial negli Stati Uniti su un tipo di tumore del tratto gastrointestinale di tipo H-MSI, ovvero con instabilità dei microsatelliti, ha dato risultati incoraggianti. Nei prossimi anni, dopo la validazione dei dati del trial, questo vaccino potrà essere esteso a tutti i pazienti con questo tipo di tumore».
La formula utilizzata è la stessa del vaccino contro l’Ebola o il Covid, anche se con un virus diverso isolato del gorilla. «Occorre tenere presente che si tratta di pazienti con un tumore metastatico, quindi non sono stati riportati ad ora effetti collaterali rilevanti – fa notare Pace – ma bisogna stare molto attenti e pensare che il paziente metastatico è da salvare e quindi cambia anche l’ottica della vaccinazione. Definirlo vaccino può sembrare fuorviante, in futuro potrebbe essere chiamato con un altro termine perché è un trattamento di immunoterapia di diretto intervento sulla malattia in corso».
«L’adenovirus di gorilla, reso innocuo viene utilizzato in combinazione con un farmaco immunoterapico – spiega Luigia Pace -. In questo modo da un lato il farmaco blocca la proteina PD-1 che impedisce al sistema immunitario di attivarsi e dall’altra il vaccino, grazie all’adenovirus, trasporta il codice genetico delle molecole mutate del tumore di un determinato paziente, le quali, una volta espresse nell’organismo attivano i linfociti T killer, che riconoscendole sulle cellule tumorali, le uccideranno».
Questa nuova tecnica risulta essere rivoluzionaria anche perché parte dalla mutazione del tumore di un paziente e inoltre genera una memoria nel sistema immunitario che, se duratura, impedirà il formarsi di metastasi perché continuerà a riconoscere ed uccidere quelle stesse cellule tumorali anche a distanza di tempo. «Si tratta dunque di un vaccino che potrebbe prevenire le recidive, ma bisogna condurre ulteriori ricerche al riguardo». In attesa dell’autorizzazione dell’agenzia italiana del farmaco per la sperimentazione a Candiolo e in diversi istituti italiani, la dottoressa Pace aggiunge: «L’obiettivo è riarmare il sistema immunitario che di fatto non risponde più. Questo tipo di tecnologia in pratica agisce come un booster e va a riattivare il sistema immunitario. È questa la vera differenza rispetto alla tecnologia classica farmacologica. Si tratta comunque di un trial ancora in corso, quindi, non va a sostituire le terapie tradizionali», puntualizza.
In futuro si ipotizza di allargare la platea dei tumori trattabili grazie alla medicina personalizzata. «Per trattare il cancro al polmone o il melanoma che rispondono all’immunoterapia con il blocco del PD-1, occorre formulare un vaccino con specifici antigeni, quindi più personalizzato – sottolinea Pace – Ed è questa la prossima sfida: occorre trovare le mutazioni del paziente e una volta identificati, capire quali siano gli epitopi che daranno una risposta migliore. Allo stesso modo per i medici sarà importante stabilire se questo tipo di vaccino sarà combinabile con altri farmaci immunoterapici utilizzati per trattare altri tipi di tumori, come ad esempio il cancro al polmone». Non si esclude poi un’applicazione più mirata per la medicina di genere. «Siccome il vaccino sarà sempre più personalizzato, aprirà le porte anche a questo tipo di applicazione», conclude.
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