Due sono meglio di uno. La combinazione di immunoterapia e farmaci mirati potrebbe essere più efficace contro il tumore al pancres. A dimostrarne la potenzialità di questa sinergia a è uno studio condotto al Dipartimento di Oncologia Molecolare dell’Istituto Europeo di Oncologia e pubblicato sulla rivista Sciences Advances
Due sono meglio di uno. La combinazione di immunoterapia e farmaci mirati potrebbe essere più efficace contro il tumore al pancreas. A dimostrarne la potenzialità di questa sinergia a è uno studio condotto al Dipartimento di Oncologia Molecolare dell’Istituto Europeo di Oncologia e pubblicato sulla rivista Sciences Advances. Grazie al sostegno della Fondazione AIRC, i ricercatori hanno osservato che l’associazione del trametinib all’immunoterapia permette di acquisite un controllo della malattia molto significativo, almeno in modelli preclinici.
Il tumore del pancreas è caratterizzato da un insieme di mutazioni del DNA molto ben definite. Tra le meglio conosciute ci sono le mutazioni del gene KRAS, i cui prodotti proteici mimano una stimolazione costante e abnorme da parte di fattori di crescita, inducendo così una proliferazione non controllata delle cellule. Contro tali mutazioni sono stati sperimentati alcuni farmaci a bersaglio molecolare, progettati proprio per contrastare questi effetti. Tuttavia, i tentativi di bloccare in maniera mirata la trasmissione di stimoli proliferativi indotti dalla mutazione di KRAS, in particolare con l’inibitore trametinib, non hanno finora prodotto i risultati terapeutici attesi.
“Abbiamo utilizzato procedure avanzate di analisi genomica e computazionale per determinare le ragioni della sorprendente resistenza delle cellule di carcinoma del pancreas al trametinib”, spiega Gioacchino Natoli, ricercatore che ha coordinato lo studio. “Questa analisi ha mostrato un effetto sorprendente: anche se il trametinib non rallenta significativamente la crescita delle cellule tumorali, attiva però dei meccanismi che possono renderle bersaglio di una risposta immunitaria. Sulla base di questi dati, in collaborazione con il gruppo di Andrea Viale presso l’MD Anderson Cancer Center di Houston, abbiamo valutato in modelli preclinici – continua – l’effetto terapeutico della combinazione del trametinib con farmaci che aumentano la risposta immunitaria contro i tumori, i cosiddetti inibitori dei checkpoint immunitari, ottenendo effetti terapeutici significativi”.
I ricercatori hanno scoperto che il trametinib induce l’espressione di retrovirus endogeni nelle cellule tumorali del pancreas. Questi retrovirus sono pezzi di materiale genetico virale che si sono inseriti nel genoma dei mammiferi nel corso di infezioni risalenti possibilmente a centinaia di migliaia o anche milioni di anni fa. Appartengono a quella grandissima parte del genoma umano che è considerata sprovvista di funzione e che per questo è stata anche chiamata “DNA spazzatura”. Normalmente queste porzioni di antico DNA virale sono “silenziate” nel corpo umano e quindi sono di fatto inerti e senza un ruolo. Se attivati, tuttavia, i retrovirus endogeni simulano un’infezione virale e le cellule che li esprimono vengono rilevate dal sistema immunitario alla stessa stregua di cellule infettate da virus odierni. Di conseguenza, il sistema immunitario reagisce attaccando le cellule tumorali che esprimono retrovirus endogeni, distruggendo così il tumore.
“Questo nuovo approccio apre la strada a una combinazione razionale di trattamenti che potrebbero rivelarsi molto efficaci nel combattere il cancro al pancreas“, afferma Alice Cortesi, prima autrice dell’articolo. “Inoltre, l’attivazione dei retrovirus endogeni indotta da trametinib potrebbe fornire nuovi bersagli per lo sviluppo di vaccini terapeutici anche contro il cancro del pancreas. Ora – conclude – bisogna avere conferma dei dati ottenuti in laboratorio nell’ambito di prossimi studi clinici, che contiamo di poter attivare il più rapidamente possibile”.
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