Partito Positive, lo studio internazionale diretto dal dottor Fedro Peccatori, direttore dell’Unità di fertilità e Procreazione dello IEO, per permettere alle giovani donne con tumore alla mammella di sospendere la terapia ormonale, fare un figlio e riprenderla alla nascita del bambino, senza compromettere terapia e gravidanza
Si chiama Positive e porta una firma italiana il nuovo studio sulla possibilità di maternità nelle pazienti con tumore al seno in giovane età. Tra i responsabili scientifici di questo studio c’è infatti il Direttore dell’Unità di Fertilità e Procreazione dello IEO di Milano, il dottor Fedro Peccatori.
«Si chiama Positive perché riguarda donne con tumore della mammella soggette a terapia ormonale che rappresenta un fattore ostativo alla ricerca della gravidanza perché di lunga durata – spiega il dottor Peccatori a Sanità Informazione – . Quindi ciò che abbiamo pensato è di offrire a queste donne la possibilità di sospendere momentaneamente il trattamento ormonale, cercare la gravidanza in qualunque modo, spontaneamente o con tecniche di fecondazione assistita, e poi entro due anni dalla sospensione, riprendere il trattamento ormonale, per garantire il buon esito della gravidanza, ma anche il corretto trattamento ormonale».
Qual è l’obiettivo dello studio Positive? «L’obiettivo primario di questo studio – continua il dottor Peccatori – è valutare la sicurezza di questa strategia, cioè che sospendere il trattamento e riprenderlo sia altrettanto sicuro che farlo tutto di seguito. I primi risultati arriveranno non prima di due anni; avremo però, nel giro di poco tempo, già informazioni sul numero di gravidanze, come sono andate e come stanno i bambini. In verità già dai dati della letteratura sappiamo che fare bambini dopo un tumore della mammella non espone questi bambini ad un rischio maggiore di malformazioni o di complicanze dal punto di vista dello sviluppo successivo alla nascita, sappiamo che vanno seguite con più cura perché potrebbe esserci un rischio di parto prematuro e di bambini piccoli per l’età gestazionale».
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Sono 2500 le giovani donne sotto i quarant’anni che ogni anno si ammalano di tumore al seno in Italia. Almeno il 50% vorrebbe un figlio, ma ad oggi solo l’8% riesce a coronare il proprio sogno. Questo perché la diagnosi è superiore ai 35 anni, il trattamento chemioterapico è tossico e l’accesso alle tecniche per preservare la fertilità non è universale. Il 20% delle pazienti, infatti, viene informato in ritardo, non in tutte le regioni italiane il sistema sanitario nazionale le rimborsa e poi c’è la paura delle terapie.
«Per molto tempo si è pensato che fare figli dopo un tumore alla mammella, sopratutto se era indispensabile una terapia ormonale importante per ridurre il rischio di recidive per metastasi successive, si riteneva che in queste donne la gravidanza fosse dannosa, invece non è vero – riprende il Direttore dell’unità di fecondazione dello IEO – Sono stati fatti tanti studi su questo, la mia unità si è fatta parte in causa per promuovere studi internazionali in questo ambito ed è chiaro che anche nelle donne con tumore alla mammella ormono responsivo, la gravidanza non peggiora la prognosi oncologica, indipendentemente dallo stato recettoriale, dal tempo e dalle caratteristiche del tumore stesso. Certamente è importante che le donne giovani con diagnosi di tumore alla mammella vedano un esperto di onco-fertilità che è il campo che si occupa di mettere insieme oncologo e specialista di riproduzione umana, e che a tutte queste donne venga offerto un programma individualizzato di preservazione di fertilità affinché possano avere figli, se lo desiderano» conclude Peccatori.