E’ aumentato il numero di donne che si sottopongo a interventi chirurgici preventivi per il tumore al seno che potrebbero non essere necessari. A lanciare l’allarme è stato un gruppo di ricercatori dell’Università di Exeter in un paper pubblicato sulla rivista eClinical Medicine
Chiamiamo pure «effetto Jolie». Perché da quando l’attrice hollywoodiana Angelina Jolie ha condiviso con il mondo la sua scelta di sottoporsi a una mastectomia preventiva (e poi anche alla rimozione delle ovaie), dopo aver scoperto di essere positiva ai geni BRCA che aumentano il rischio di ammalarsi di tumore, sempre più donne scelgono di seguire il suo esempio. E’ infatti aumentato il numero di donne che si sottopongo a interventi chirurgici preventivi che potrebbero non essere necessari. A lanciare l’allarme è stato un gruppo di ricercatori dell’Università di Exeter in un paper pubblicato sulla rivista eClinical Medicine del gruppo di The Lancet.
I ricercatori hanno riferito che quando le donne scoprono, al di fuori di un contesto clinico, di essere portatrici di varianti dei geni BRCA1 o BRCA2 vengono informate di avere un rischio di tumore al seno compreso tra il 60 e l’80%. Ma il rischio potrebbe essere inferiore al 20% se la paziente non ha parenti stretti affetti dalla malattia. Secondo gli studiosi, fino a poco tempo fa, le donne scoprivano di essere positive ai geni mutati BRCA solo dopo aver riportato sintomi o perché hanno una storia familiare di malattia. La probabilità che alcune varianti BRCA causino il cancro al seno è stata calcolata basandosi su questo gruppo già ad alto rischio. Tuttavia, molte persone ora acquistano «kit domestici» per il test del DNA o ricevono i risultati come parte della partecipazione a ricerche genetiche, senza avere alcun legame personale con il cancro al seno.
La nuova ricerca è stata condotta per avere una migliore comprensione del vero livello di rischio di queste varianti BRCA nella popolazione generale. Gli autori hanno analizzato più di 454.000 partecipanti reclutati tra i 40 e i 69 anni nella UK Biobank, che raccoglie campioni di DNA e chiede ai partecipanti di segnalare malattie che li riguardano direttamente e quelle che riguardano i loro genitori e fratelli. Hanno così scoperto che essere portatrici di una variante BRCA legata al cancro è associato a un rischio di cancro al seno dell’18 per cento (per BRCA2) e del 23 per cento (per BRCA1) entro i 60 anni. Avere un parente stretto con la condizione ha invece elevato il rischio al 24 per cento (per BRCA2) e al 45 per cento (per BRCA1).
Leigh Jackson, autrice principale dell’Università di Exeter Medical School, ha dichiarato che «essere informati di avere un elevato rischio genetico di una malattia può davvero influenzare i livelli di paura per una determinata condizione e le azioni conseguenti che si possono intraprendere. Un rischio del 80 per cento di sviluppare il tumore al seno è molto diverso dal 20 per cento. Questa differenza potrebbe influenzare la decisione che si prende riguardo a un intervento chirurgico invasivo al seno. Alcune donne potrebbero decidere di proseguire con tale procedura anche sapendo che il rischio è del 20 per cento, ma vogliamo che prendano una decisione informata. Chiediamo che chiunque comunichi il rischio di cancro lo faccia basandosi su una dettagliata storia familiare, non solo sulla genetica da sola».
Il team di ricerca ha ottenuto risultati simili quando ha esaminato il rischio genetico della sindrome di Lynch, una condizione genetica che aumenta il rischio di cancro del colon e di alcuni altri tipi di tumori. Gli autori hanno anche concluso che lo screening genetico per queste condizioni nella popolazione generale potrebbe portare un gran numero di persone a sottoporsi a esami o procedure inutili. «I nostri risultati non si applicheranno solo al cancro al seno e al cancro del colon», evidenzia Caroline Wright, co-autrice dell’Università di Exeter Medical School. «Tutte le stime di rischio di malattie genetiche finora sono state basate principalmente su gruppi a rischio relativamente elevato che frequentano cliniche specialistiche; quindi, potrebbero non tradursi necessariamente nella popolazione generale. Questa scoperta – continua – ha importanti implicazioni per lo screening di popolazione mediante sequenziamento del genoma. Dobbiamo assicurarci di condurre ricerche per trovare il vero livello di rischio e anche di comunicare il rischio in modo responsabile, al fine di evitare paura e angoscia inutili che potrebbero portare a procedure evitabili».
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