Grazie ai programmi di screening e all’innovazione terapeutica la sopravvivenza a cinque anni per le pazienti con carcinoma mammario si attesta all’88%
Con 55mila nuovi casi nel 2023, il tumore al seno rappresenta il 30% di tutte le neoplasie femminili. Sebbene le diagnosi continuino ad aumentare, il tasso di mortalità è in diminuzione: tra il 2015 e il 2020 si è registrata una riduzione del 6%, in gran parte grazie ai progressi terapeutici generati dalla ricerca. L’Italia si posiziona ai vertici mondiali per la qualità e la quantità degli studi condotti in questo settore, secondo quanto riportano gli esperti del Gruppo Italiano Mammella (GIM), uno dei principali consorzi di ricerca indipendente in oncologia. La Riunione Annuale del GIM si apre oggi a Udine, dove per due giorni gli esperti discuteranno le novità scientifiche emerse di recente e pianificheranno le attività future.
“Il GIM, fondato nel 2002, coinvolge attualmente 150 centri e più di 500 sperimentatori impegnati in studi no profit”, spiega il Prof. Fabio Puglisi, Responsabile Scientifico della riunione GIM 2024, Professore Ordinario di Oncologia Medica all’Università di Udine e Direttore del Dipartimento di Oncologia Medica presso l’IRCCS CRO di Aviano -. In questi 22 anni, abbiamo fatto grandi progressi sia in ambito diagnostico che terapeutico. I dati parlano chiaro: la mortalità è in diminuzione, mentre la sopravvivenza a cinque anni è passata dall’80% nei primi anni 2000 all’88% nel 2024. Nei casi diagnosticati precocemente, questa percentuale supera il 90%. Questi risultati straordinari sono stati raggiunti grazie all’ampliamento dei programmi di screening, ma anche grazie all’innovazione costante nelle terapie. Come GIM, siamo fieri di aver contribuito in modo significativo a questi sviluppi”.
“La produzione scientifica del GIM è consolidata, con evidenze integrate nelle principali linee guida nazionali e internazionali – aggiunge Lucia Del Mastro, Professore Ordinario e Direttore della Clinica di Oncologia Medica dell’IRCCS Ospedale Policlinico San Martino dell’Università di Genova -. Dal 2002, abbiamo condotto più di 50 studi clinici su tutto il territorio italiano. Siamo stati i primi a studiare la preservazione della fertilità nelle donne con cancro al seno. Abbiamo anche studiato la durata ottimale della terapia endocrina adiuvante per pazienti a rischio di recidiva di tumore luminale e ci siamo concentrati sul regime chemioterapico “dose-dense” per pazienti ad alto rischio, che prevede un intervallo di due settimane tra i cicli di trattamento anziché tre. Infine il gruppo GIM è stato il primo gruppo al mondo a dimostrare attraverso uno studio clinico di fase III la possibilità di omettere dagli schemi chemioterapici somministrati dopo la chirurgia il farmaco 5fluorouracile, individuando quindi un nuovo schema di trattamento caratterizzato da minore tossicità”.
Il gruppo GIM, poco noto al pubblico, è in realtà la più grande organizzazione di ricerca clinica sul tumore al seno in Italia e l’unica riconosciuta sul panorama internazionale – evidenzia Michelino De Laurentiis, Direttore del Dipartimento di Oncologia Senologica e Toraco-polmonare e Direttore dell’UOC di Oncologia Clinica Sperimentale di Senologia presso l’IRCCS “Fondazione Giovanni Pascale” di Napoli -. Gli studi condotti dal GIM hanno avuto un impatto significativo sulla pratica clinica degli ultimi 15-20 anni, contribuendo in maniera determinante all’avanzamento terapeutico per il carcinoma mammario. Le nostre attività di ricerca si vanno sempre più intensificando. Nel prossimo futuro, abbiamo in programma ulteriori sperimentazioni e discuteremo a Udine ben 20 nuovi progetti che spaziano, da approcci terapeutici innovativi, a studi di biomarcatori per personalizzare la terapia a studi d’impatto sociale della malattia, inclusa la ‘tossicità finanziaria”.
“Nonostante i numerosi successi, ci sono ancora aspetti migliorabili nella ricerca sul tumore mammario. La burocrazia è spesso eccessiva e le procedure relative all’approvazione degli studi, sia per aspetti etici che amministrativi, rischiano di rallentare lo sviluppo dei farmaci. Dobbiamo snellire questi processi – conclude il Prof. Puglisi conclude – per poter continuare a offrire alle pazienti le migliori cure possibili”.
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