È ormai noto che il rischio di sviluppare un tumore al seno sia (anche) scritto nei geni: BRCA1 e BRCA2 sono i più noti perché legati all’attrice Angelina Jolie ed alla top model Bianca Balti. Ma questi geni non sono gli unici ad essere finiti nel mirino degli scienziati. “La ricerca medica negli ultimi anni ha fatto passi da gigante: setacciando il DNA in cerca di un possibile aumentato rischio scritto nei geni, sono state individuati altri geni di aumentato rischio, che si vanno ad aggiungere a BRCA1/2 – spiega la professoressa Emanuela Lucci Cordisco, docente di Genetica medica Università Cattolica del Sacro Cuore, UOC Genetica medica Fondazione Policlinico Gemelli IRCCS -. Sembra, insomma, essere arrivato il momento di estendere lo screening genetico anche ad altri geni che non siano solo il BRCA1 e 2, tenendo però sempre conto della storia familiare e personale di una donna. Per questo, sono già a disposizione pannelli multigenici, ma la loro interpretazione non è semplice e resta appannaggio dello specialista esperto in questo campo. Un’accurata anamnesi familiare e personale può aiutare nella scelta dei test genetici da effettuare e nella scelta del giusto follow-up da proporre alla persona sottoposta a questi test”.
Uno dei ‘nuovi’ geni attenzionati è il PALB2 che, nelle donne con tumore del seno ‘triplo negativo’ (cioè privo dei recettori ormonali e per l’HER2), aumenta il rischio di comparsa a 10 anni di un tumore nella mammella controlaterale di circa il 20% (per avere un metro di misura, nello stesso studio i dati dicono che essere portatrici del BRCA1 aumenta questo rischio del 23% circa, mentre il BRCA2 lo aumenta del 17% circa). Anche la presenza di mutazioni (varianti patogenetiche) nei geni PTEN, STK11, CDH1 e TP53 dovrebbe portare il chirurgo, insieme al genetista, a parlare alle donne della possibilità di sottoporsi a chirurgia profilattica per la riduzione del rischio. L’indicazione al test genetico deve comunque essere sempre discussa e prescritta in ambito multidisciplinare, non deve essere un’auto-prescrizione. “I genetisti – ricorda la professoressa Lucci Cordisco – hanno oggi a disposizione anche strumenti informatici, come il CanRisk, un tool di predizione del rischio di avere un tumore o di sviluppare una neoplasia controlaterale, nel caso del tumore del seno, che consente al medico di calcolare il rischio futuro di una persona utilizzando la sua storia familiare, personale, genetica e altri fattori di rischio. Funziona bene solo se la storia familiare di quella paziente è raccolta con accuratezza. Il rischio infatti non è mai assoluto, ma dipende da tanti fattori quali la variante genica presente, la sua maggiore o minore penetranza, la storia familiare della donna, le sue abitudini di vita”.
Una considerazione da tenere sempre presente è che le percentuali di aumentato rischio che attribuiamo oggi ad alcuni geni potranno modificarsi nei prossimi anni, grazie all’acquisizione di una casistica più ampia. “Ecco perché – sottolinea la professoressa Alba Di Leone, docente di Chirurgia generale (senologia) Università Cattolica del Sacro Cuore, responsabile UOS Gestione pazienti giovani ad alto rischio di Fondazione Policlinico Gemelli IRCCS – va sempre specificato alla paziente che si tratta di percentuali di aumentato rischio, non di ‘dogmi’ assoluti e come tali vanno considerati. Questo campo è un continuo work in progress. Ed è necessario mettere insieme quanti più elementi possibile per costruire una mappa del rischio accurata e parlare alle donne, offrendo opportunità di riduzione del rischio, non dogmi assoluti”. Individuare nei geni le varianti geniche che conferiscono un aumentato rischio di sviluppare un tumore del seno o dell’ovaio mette il medico e la donna di fronte alla scelta se considerare l’opzione della chirurgia preventiva (mastectomia e ovariectomia) o se optare per una gestione conservativa, con una stretta sorveglianza (come mammografia annuale e risonanza magnetica mammaria) e modifiche sostanziali allo stile di vita.
“Il criterio chiave che dovrebbe guidare la proposta della chirurgia profilattica o meno nelle donne con tumore della mammella portatrici di mutazioni patogenetiche ad alto rischio è la ‘personalizzazione’ dell’approccio clinico – ribadisce la professoressa Lucci Cordisco – che a sua volta deve tenere in considerazione non solo il risultato dei test genetici e i sottotipi delle mutazioni, con il relativo grado di penetranza genetica, ma anche le valutazioni cliniche di tutti i colleghi che gestiscono la paziente (il gruppo multidisciplinare) e che riguardano l’età di comparsa del tumore, l’aspettativa di vita, la storia familiare, l’etnia, il ruolo della terapia adiuvante, senza dimenticare le implicazioni emotive e psicologiche della donna”. La professoressa Di Leone ricorda anche che “la mastectomia è un intervento che può impattare pesantemente sulla qualità di vita di una donna, modificando la sua immagine corporea ed esercitando un possibile impatto negativo a livello psico-sessuale e sul benessere relazionale”.
Al di là della scelta ‘chirurgia profilattica sì o no’, anche in presenza di geni che conferiscono un aumentato rischio di ammalarsi, non va mai dimenticato che il rischio di sviluppare un tumore è sempre frutto di una complessa alchimia e di un’interazione tra geni, ambiente e stile di vita. “Oltre a una più stretta sorveglianza strumentale dunque, in presenza di questi geni di aumentato rischio è necessario consigliare sempre alle donne di seguire uno stile di vita sano, perché questo può fare la differenza – ricorda la professoressa Di Leone -. Un’attenzione particolare va riservata al peso corporeo e all’attività fisica regolare. Inoltre, è fondamentale smettere di fumare e ridurre al massimo (o eliminare) le bevande alcoliche, evitando anche l’esposizione a terapie ormonali. Uno studio condotto sulla coorte delle oltre 30 mila donne in post-menopausa, arruolate nello studio VITAL (Vitamins and Lifestyle), con un follow up mediano di 6,7 anni ha dimostrato nelle donne senza tumore del seno pregresso che seguivano almeno cinque delle raccomandazioni di stile di vita fornite dal World Cancer Research Fund (WCRF) e dall’American Institute for Cancer Research (AICR) che il rischio di tumore del seno si riduceva fino al 60% rispetto alle donne che non seguivano affatto queste raccomandazioni. La dieta mediterranea è una potente arma contro i tumori, ma va cominciata da giovanissimi, con tanta frutta e verdura già da bambini e nell’adolescenza”.
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