Il Professore Giorgio De Santis, Primario di Chirurgia Plastica e Ricostruttiva al Policlinico di Modena, spiega ai nostri microfoni quanto sia importante riuscire a prevedere quali lembi utilizzare nella ricostruzione: «Alcuni hanno problemi di riperfusione. Con il Quest riusciamo a capire quali e a scegliere quelli giusti»
Una paziente che viene sottoposta ad una mastectomia deve affrontare anche un intervento di ricostruzione della mammella. Si tratta di un tipo di operazione non esente da rischi. Ad oggi infatti si fa sempre più ricorso alla ricostruzione immediata con l’utilizzo di lembi microchirurgici presi dai tessuti della paziente stessa. Le strumentazioni a disposizione delle strutture sanitarie non permettono però di sapere, al momento dell’operazione, se questi lembi sono più o meno vitali e se possono dunque essere utilizzati per la ricostruzione senza il rischio di cancrene. Anche su questo piano interviene il Quest, il macchinario che, attraverso l’iniezione nel corpo della paziente di un liquido a fluorescenza, permette un controllo migliore, più sicuro e molto più economico (il costo del macchinario si ammortizza in circa un anno) del linfonodo sentinella. Ma in che modo questa strumentazione riesce anche ad indicare quali lembi sono più indicati nel processo di ricostruzione? Lo abbiamo chiesto al Professor Giorgio De Santis, Primario di Chirurgia Plastica e Ricostruttiva del Policlinico di Modena.
Professor De Santis, quali sono gli orientamenti attuali nella ricostruzione mammaria post-mastectomia?
«Oggi la ricostruzione mammaria è diventata un fatto esteso socialmente a tutti i tipi di indicazione chirurgica. Un tempo si usava una ricostruzione differita. Oggi però sono poche le categorie di persone che non possono effettuare una ricostruzione immediata. Si privilegia appunto la ricostruzione immediata con la possibilità di integrarla con tecniche autologhe, ovvero con l’utilizzo dei propri tessuti nel risparmio cutaneo e nella ricostruzione stessa».
Esistono delle nuove strumentazioni per intervenire in questo senso usando la fluorescenza? Voi nel Policlinico di Modena ne avete un esemplare.
«La maggior parte degli interventi, anche quelli in cui si applica semplicemente una protesi, si basa sull’apposizione di lembi sia di mastectomia che di lembi di riperfusione, cioè lembi microchirurgici. Noi ci troviamo spesso a confrontarci col non sapere in fase infra-operatoria quanto è vitale un lembo che andremo ad utilizzare per la ricostruzione. Il colorante infravitale indocianina che utilizza lo strumento Quest, una volta inserito nel sistema venoso e durante la riperfusione, ci dà un uptake del prodotto all’interno dei tessuti vitali. In base ai tempi in cui ciò avviene e in base ai tempi in cui viene poi riassorbito dal sistema venoso, quindi di fuoriuscita, ci facciamo un’idea di che grado di riperfusione abbia il tessuto, quindi se possiamo ritenerlo utile alla ricostruzione oppure dobbiamo scartarlo. Questa è una procedura molto importante perché nella mastectomia capita che porzioni di lembi che sono stati devascolarizzati per l’estrema sottigliezza spesso vanno in necrosi, con conseguente allungamento dei tempi di ricovero, costi per l’ospedale e quant’altro. Quindi sapere durante l’intervento che un lembo è molto vitale e che verosimilmente non avrà una necrosi, anche se si tratta di un lembo microchirurgico, è di estrema utilità in quanto ci dà l’idea che sia un tessuto buono. Se invece non è ben riperfuso possiamo asportare sin da subito la parte che non è stata riperfusa bene».
Si tratta di un macchinario di grande affidabilità che sarebbe anche consigliabile adottassero altre strutture oltre a quella di Modena.
«Credo che uno dei vantaggi più grandi sia che può essere usato in maniera interdisciplinare, quindi dal senologo per la ricerca del linfonodo sentinella al chirurgo plastico per la vitalità dei lembi di mastectomia e dei lembi di ricostruzione. È sicuramente uno strumento che dà quel qualcosa che serve all’uno e all’altro per raggiungere un risultato ottimale».