L’endocrinologo mette in guardia dai fattori di rischio: «Se una paziente ha una madre o una sorella con tumore alla tiroide o ha subito un pregresso trattamento radioterapico del collo deve essere valutata con maggiore attenzione»
«Il tumore alla tiroide sta aumentando ed è molto diffuso in Italia, in Europa e nel mondo. Ma la mortalità è estremamente stabile e non è incrementata quanto l’incidenza. Questo vuol dire che non si muore di tumore alla tiroide: non è una malattia incurabile. Bisogna sfatare la paura che di fronte ad una diagnosi di tumore per forza si debba incappare in quel difficile percorso di cura che, invece, moltissime neoplasie gravi e serie possono richiedere. Il tumore alla tiroide è gestibile, curabile e in certe piccole percentuali si può anche quasi non trattare». A parlare è Alessandro Scoppola, referente regionale Ame Lazio (l’Associazione Medici Endocrinologi) e dirigente di struttura complessa IV divisione di Oncologia e Oncologia Dermatologica e responsabile dell’ambulatorio di Endocrinologia, istituto Dermopatico Immacolata IRCCS, Roma.
Il cancro della tiroide colpisce soprattutto le donne tra i 40 e i 60 anni e rappresenta il 3-4% di tutti i tumori. L’aumento del numero di diagnosi comprende anche la scoperta di piccoli carcinomi che, con molta probabilità, in precedenza venivano trascurati dalla scarsa prevenzione.
«La diagnosi – ha spiegato Scoppola – si effettua principalmente con l’ecografia. L’esame deve essere eseguito da persone esperte, in grado, eventualmente, di indirizzare il paziente verso un accertamento di secondo livello, come l’ago aspirato. In questo modo sarà possibile valutare più concretamente la possibilità di affrontare un percorso terapeutico o chirurgico».
La strada da seguire è diversa da paziente a paziente: «Non esiste una regola unica – ha sottolineato il referente regionale Ame Lazio -. Il tipo di neoplasia, l’età, la provenienza del paziente, la morfologia della tiroide, sono solo alcuni dei parametri che vanno condivisi per decidere il percorso terapeutico più adeguato».
Anche i fattori di rischio sono una variabile da valutare con attenzione: «La familiarità – ha commentato Alessandro Scoppola – è un fattore importante. Un nodulo in una paziente che ha avuto già una madre o una sorella con tumore alla tiroide deve essere valutato con maggiore attenzione. Un altro fattore importante è anche un pregresso trattamento radioterapico del collo, come quello che hanno subito pazienti con linfomi o altre neoplasie del collo. In questi soggetti – ha concluso l’endocrinologo – la possibilità che insorgano forme neoplastiche è più elevata».