Nella maggior parte dei paesi del mondo, i tassi di incidenza del cancro al collo dell’utero restano molto più elevati della soglia considerata auspicabile dall’Organizzazione mondiale della sanità, che ha fissato l’obiettivo di raggiungere i 4 casi ogni 10mila donne entro il 2030. Roberto Senatori, consigliere del direttivo della Società Italiana di Colposcopia e Patologia Cervico Vaginale e direttore del Centro HPV della Clinica Villa Margherita, invita alla vaccinazione anti-Hpv anche gli uomini
Nella maggior parte dei paesi del mondo, i tassi di incidenza del cancro al collo dell’utero, legati anche all’Hpv, restano molto più elevati della soglia considerata auspicabile dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), che ha fissato l’obiettivo di raggiungere i 4 casi ogni 10mila donne entro il 2030. Questo è quanto emerso da uno studio condotto dalla Scuola Superiore Sant’Anna e dall’International Agency for Research on Cancer, in Francia. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista The Lancet Global Health. Per stimare il tasso di incidenza del cancro al collo dell’utero nelle donne i ricercatori hanno considerato i dati del database GLOBOCAN 2020, che raccoglie informazioni su 185 paesi. Gli esperti hanno quindi esaminato i dati ottenuti dal 1988 al 2017. Nel 2020, riportano gli esperti, si contano oltre 600mila nuovi casi e oltre 340 mila decessi correlati al cancro del collo dell’utero.
Siamo quindi ben lontani dall’obiettivo fissato dall’Oms, che necessitano invece di una serie di interventi nei programmi di screening e campagne vaccinali contro l’HPV. “Lo sviluppo di efficaci programmi di vaccinazione e screening contro l’HPV – Deependra Singh, autore principale dello studio – ha reso il cancro cervicale una malattia ampiamente prevenibile. In alcuni paesi ad alto reddito abbiamo notato delle riduzioni incoraggianti nei tassi di cancro al collo dell’utero, ma a livello globale l’onere rimane piuttosto elevato». Complessivamente, riportano gli autori, nel 2020 si registrano in media 13 casi e sette decessi per 100 mila donne ogni anno. In tutto, 172 paesi superano la soglia stabilita dall’Oms, ma si riscontrano notevoli variazioni tra le diverse nazioni considerate. Ad esempio, in Iraq ed Eswatini si stimano rispettivamente 2 e 84 casi ogni 100 mila donne. La mortalità variava da 1 a 56 ogni 100mila pazienti rispettivamente in Svizzera e Eswatini.
L’analisi dei dati storici mostra una chiara diminuzione nell’insorgenza del tumore in Brasile, Colombia, Costa Rica, India, Tailandia, Corea del Sud, Polonia, Slovenia e Slovacchia. Al contrario, in Lettonia, Lituania, Bulgaria, nell’Africa orientale, nei Paesi Bassi e in Italia si nota un incremento nel numero di casi. «Il cancro del collo dell’utero – riporta Valentina Lorenzoni, della Scuola Superiore Sant’Anna – è associato a un’insorgenza di casi preoccupante. C’è ancora molto lavoro da fare per raggiungere gli obiettivi dell’Oms. Una diminuzione dei programmi di screening dovuta alla pandemia potrebbe aver provocato un incremento nel numero di donne suscettibili al tumore, ma allo stesso tempo le tecnologie introdotte a causa di Covid-19 hanno portato all’introduzione di un test autonomo per HPV. Nei prossimi step, sarà necessario investire in nuovi programmi per ridurre il carico di questa forma di cancro».
«Nonostante la percezione comune veda nell’Hpv (Human Papilloma Virus) il responsabile solo di una possibile patologia ginecologica, il virus è anche alla base di tumori che coinvolgono altri distretti, come quello della gola e del canale anale», ricorda Roberto Senatori, consigliere del direttivo della Società Italiana di Colposcopia e Patologia Cervico Vaginale (Sicpcv) e direttore del Centro HPV della Clinica Villa Margherita (Roma). «In quest’ottica la ancora limitata copertura vaccinale nei maschi, è un problema essenziale che va affrontato con decisione. Gli studi clinici – continua – ci dicono che il 60% dei maschi sono positivi all’Hpv a qualsiasi età, mentre nelle donne questo dato scende con decisione dopo i 30. In più va considerato che per tumori come quelli alla zona della gola, che riguardano i maschi con maggior frequenza, non sono state identificate lesioni pretumorali e conseguentemente non è possibile una prevenzione secondaria. Non da ultimo, il test Hpv sui genitali per i maschi non è validato».
«Trattandosi di una malattia a trasmissione sessuale – sottolinea Senatori – non possiamo pensare che i successi o le mancanze ottenuti in un paese non riguardino anche le popolazioni degli altri paesi. Da questo punto di vista, anche considerando la riduzione dei costi che si è avuta nel tempo per quel che riguarda il ciclo vaccinale, i paesi con maggiori disponibilità dovrebbero intervenire dove ce n’è bisogno anche al di là dei propri confini». E prosegue: «In più è bene ricordare che la disparità di interventi, sia preventivi propriamente detti che di screening soffrono di rilevanti disparità anche in Italia, con regioni decisamente più virtuose ed altre meno». L’arma della vaccinazione, ha proprio in questa prospettiva di contrasto generalizzato alle patologie derivanti dall’Hpv, una valenza primaria.
«Per questo genere di tumori disponiamo della vaccinazione contro l’HPV – aggiunge Senatori – che è uno strumento di prevenzione formidabile. Non è certo necessario terrorizzare le persone, considerando che stiamo parlando di una infezione molto comune che molto raramente e nel tempo porta ad una malattia. Inoltre, quando si manifesta, presenta comunque un alto tasso di regressione spontanea se in fase iniziale. Ma detto questo, considerando l’elevata sicurezza del vaccino, è davvero molto importante che sia effettuato su larga scala, quale che sia l’età e il sesso». Conclude l’esperto: «Non dimentichiamo che è in vigore una Linea guida dell’Istituto Superiore di Sanità che impone al medico di prescrivere la vaccinazione alle donne operate per rimozione di una lesione pre-tumorale di alto grado della cervice uterina».
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